L’accertamento sintetico colpisce solo l’Irpef. Per imprenditori e professionisti non ci sarà nesun effetto ai fini dell’Iva e dell’Irap, come pure dei contributi. Il governo Berlusconi rilanciando il redditometro come strumento di accertamento di massa non ha previsto alcun collegamento alla fonte di reddito, riducendo la sanzione in caso di adesione
di Oreste Saccone
Il blitz di Cortina degli ottanta ispettori del fisco segna il ritorno in campo dell’Agenzia delle entrate nel presidio del territorio. Ma al di là dell’effetto mediatico, e’ utile valutare quali possono essere gli effetti dei controlli sugli eventuali evasori. Pensiamo ai 42 contribuenti , che passavano il Capodanno a Cortina, avendo dichiarato redditi inferiori a 30.000 euro sia nel 2009 che nel 2010, pescati in giro a fare shopping alla guida delle loro potenti e lussuose auto. L’amministrazione, con ogni probabilità, passerà al setaccio la capacità contributiva e di spesa dei soggetti interessati. In caso di scostamento superiore al 20% rispetto al dichiarato l’interessato dovrà giustificare all’amministrazione finanziaria il proprio tenore di vita. E qualora dovesse scattare l’accertamento sintetico la pretesa del fisco sarà comunque limitata all’Ipref in quanto il redditometro anche se si tratta di professionisti o imprenditori non colpisce l’Iva e l’Irap. Inoltre la sanzione in caso di adesione alla proposta dell’ufficio è stata ridotta al 16,66 per cento dell’imposta evasa.
Facciamo un po’ di conti. Supponiamo, ad esempio, che il sig. Rossi, commerciante, abbia dichiarato, per il 2010 il reddito complessivo di 15.000 euro (Irpef relativa 3.450 euro), occultando ricavi per 105.000 euro, e che dopo il blitz di Cortina, applicando gli indicatori del redditometro, venga accertato a suo carico sinteticamente il reddito complessivo di 120.000 euro (Irpef dovuta 44.770,00 euro). Al contribuente converrà aderire al redditometro. Per lui è un vero affare. Difatti, a seguito dell’accertamento sintetico (redditometro) dal maggior imponibile di 105.000 euro, scaturisce una maggiore imposta Irpef pari a 41.320 euro, più una sanzione amministrativa in caso di adesione di appena 6.886 euro ( 1/6 del minimo), oltre gli interessi, ma risparmia l’Iva ( 21.000 euro), l’Irap (4.095 euro) e gli oneri previdenziali ( 11.630 euro circa), che avrebbe dovuto pagare se avesse dichiarato tutto a suo tempo. In conclusione, il sig. Rossi, che, salvo prova contraria, ha evaso redditi d’impresa per 105.000 euro, anche se è stato beccato a Cortina a bordo del suo bolide, con l’applicazione del redditometro, beneficia, di fatto, di una sanatoria Iva, Irap e sui contributi previdenziali e risparmia quasi 30.000 euro, con uno sconto di circa il 35%. E’ evidente, dunque, che per il potenziale evasore, che sia imprenditore o esercente arti o professioni, la determinazione sintetica del reddito complessivo può costituire un ottimo escamotage per non pagare l’Irap e l’Iva, eventualmente evase.
Le ragioni dello sconto. Nella normalità dei casi il maggior reddito occultato da un professionista o da un imprenditore, rilevato mediante l’accertamento sintetico, cioè in base al tenore di vita e alle spese sostenute, deriva da compensi o ricavi non dichiarati provenienti dalla sua attività lavorativa abituale, ad esempio, per il chirurgo dagli interventi effettuati, per l’avvocato dalla difesa dei suoi assistiti, per il commerciante dalla vendita dei suoi prodotti, per il ristoratore dai pasti forniti, per il costruttore dalla vendita degli immobili. Partendo da tale ragionamento apparirebbe logico e ragionevole attribuire, in via presuntiva, al maggior reddito determinato sinteticamente la stessa natura del reddito derivante dall’attività abituale del contribuente, facendo salva la prova contraria. Non è stata questa la scelta del IV governo Berlusconi e della sua maggioranza parlamentare che se, per un verso, ha immediatamente cancellato efficaci strumenti di monitoraggio e controllo, messi in campo dal precedente governo Prodi, basati su un uso intelligente e mirato della tecnologia informatica e senza un particolare aggravio di adempimenti per i destinatari (elenco telematico clienti e fornitori, misuratori fiscali telematici, tracciabilità dei compensi., etc,etc), dall’altra ha introdotto il nuovo redditometro come strumento di controllo di massa, senza collegare, però, il maggior reddito accertato in base al tenore di vita alla fonte di reddito tipica del professionista o dell’imprenditore, ma imputando genericamente il maggior imponibile determinato in via sintetica al reddito complessivo. E’ come dire ” Ho le prove che il tuo reddito è stato nettamente superiore a quello dichiarato, ma non sono in grado di dimostrare quale sia la fonte”.
1. La soluzione auspicata. Appare necessario un nuovo intervento legislativo, che corregga questa evidente stortura e recepisca quella che costituisce una semplice regola di buon senso. E cioè che se il tenore di vita del contribuente evidenzia un reddito sinteticamente determinabile maggiore di quello dichiarato e il contribuente è un imprenditore o lavoratore autonomo, il maggior reddito rilevato in via sintetica è imputabile quale reddito d’impresa o di lavoratore autonomo, salvo prova contraria. Con la conseguenza che la rettifica operata sinteticamente ai fini delle imposte dirette ha effetto anche per l’Imposta regionale sulle attività produttive e per l’Imposta sul valore aggiunto, relativamente alle fattispecie per esse rilevanti. Vale la pena di ribadire che, in assenza dell’auspicato intervento da parte del legislatore nazionale, l’applicazione massiva del nuovo redditometro nei confronti dei professionisti e degli imprenditori individuali, che produce di fatto una sanatoria dell’imposta sul valore aggiunto, potrebbe indurre la Commissione Ue ad aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia per violazione degli articoli 2 e 22 della sesta direttiva e dell’art. 10 CE, che non consentono agli Stati membri di disporre misure di condono in relazione all’Iva, in quanto imposta armonizzata. Va inoltre urgentemente incrementata in modo sensibile la sanzione da applicare in caso di adesione, che oggi equivale a poco più del tasso debitorio praticato dalle finanziarie al consumo, portandolo ad almeno un terzo della maggiore imposta dovuta.