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sabato 5 Luglio 2025
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Studi settore, regime premiale introdotto con dl Salva Italia non migliora compliance

La maggior tutela da accertamento rischia di accentuare l’appiattimento dei ricavi ai livelli di congruità trasformando lo studio di settore in una sorta di catasto dei ricavi per le Pmi.

di Asterix

Il regime premiale introdotto con il dl Salva Italia per i contribuenti soggetti agli studi di settore che risultano congrui e coerenti[1] rischia di non raggiungere l’obiettivo di una maggiore compliance. L’introduzione di una maggiore tutela dai possibili accertamenti sintetici potrebbe invece accentuare il fenomeno di appiattimento dei ricavi dichiarati alla soglia di congruità prevista dallo studio di settore. Si tratta di un premio, tra l’altro, che presenta una evidente incongruenza giuridica: ai contribuenti soggetti agli studi di settore, come imprenditori e professionisti, viene concessa una soglia di difesa più elevata da accertamenti sintetici rispetto a quella prevista per gli altri contribuenti come i lavoratori dipendenti. Il nuovo regime anzichè ampliare la base imponibile finisce per catastizzare ulteriormente i ricavi dichiarati dai contribuenti ai fini degli studi di settore. Una strategia più adeguata per far emergere base imponibile dovrebbe invece puntare a rendere più veritieri i dati dichiarati ai fini degli studi riducendo sensibilmente il numero di contribuenti soggetti agli studi e attuando strategie di controllo che prevedano il monitoraggio degli incassi per brevi periodi ripetuti più volte nell’arco dell’anno.

I benefici del regime premiale

Gli aderenti al regime premiale introdotto dal decreto legge numero 201 del 6 dicembre 2011 hanno diritto ai seguenti benefici:

· sono esclusi dagli accertamenti “analitico-presuntivi” basati su presunzioni semplici, purché queste siano gravi precise e concordanti dell’esistenza di attività omesse o di passività inesistenti;[2]

· nei loro confronti sono ridotti di un anno dei termini di decadenza per l’attività di accertamento (da quatto a tre anni, salvo l’aumento di un anno in caso di omessa dichiarazione);

· l’accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche (es. redditometro) è ammesso nei loro confronti solo a condizione che il reddito accertato superi di un 1/3 quello dichiarato, anziché un quinto come stabilito per tutti gli altri contribuenti.

Il nuovo regime premiale è inserito nell’art. 10, commi da 9 a 13 del Decreto Salva Italia, denominato “regime premiale per favorire la trasparenza fiscale”, ma, in realtà, non si prevedono nuovi obblighi di trasparenza verso l’Amministrazione finanziaria per chi vi aderisce (come previsto ad esempio per il regime semplificato e agevolato per i professionisti e piccole imprese previsto dal medesimo articolo 10, ai commi da 1 a 8)[3], bensì si chiede solo il regolare assolvimento degli obblighi di comunicazione già esistenti.

La norma è finalizzata a conferire una rinnovata centralità[4] agli studi di settore quale strumento di controllo delle piccole imprese e professionisti, incentivando i contribuenti ad adeguarsi alle risultanze degli studi di settore per beneficiare della nuova tutela da ulteriori accertamenti presuntivi da parte dell’Amministrazione finanziaria[5], che è riconosciuta, come dichiarato dal legislatore, “in ragione della presenza di comportamenti indicativi di un significativo minor rischio fiscale”.[6]

Una valutazione oggettiva sull’efficacia del nuovo regime premiale non può quindi prescindere dal verificare la correttezza di tale presupposto, cioè se i soggetti congrui agli studi diano maggiori garanzie di un minore rischio fiscale, cioè siano in grado da soli, come unico strumento di accertamento presuntivo, di far emergere i “redditi sommersi” da parte della vasta platea di piccole imprese e professionisti cui si applicano (circa 3,5 milioni di soggetti). [7]

Sulla capacità di far emergere redditi “sommersi” degli studi di settore

Le analisi elaborate dalla Sose sulle dichiarazioni fiscali presentate dai contribuenti soggetti agli studi di settore per i periodi d’imposta dal 1999 al 2010[8]mostrano un incremento costante dei ricavi medi dichiarati da tali soggetti (+120% rispetto all’anno base 1999), a fronte di un non analogo incremento dei redditi medi imponibili (+40%).

Premesso che non è possibile stabilire se l’effetto di emersione dei ricavi è attribuibile all’effetto degli studi di settore, oppure alla complessiva politica di contrasto all’evasione fiscale adottata in quel periodo dall’Amministrazione finanziaria (tracciabilità dei pagamenti, ecc.), resta il dato oggettivo di una modesta crescita del reddito medio imponibile dichiarato dai soggetti congrui agli studi di settore.[9] Per effetto della crisi degli ultimi anni, nel 2010 il reddito medio dichiarato dai soggetti congrui agli studi di settore, pari a circa 43 mila euro, è stato inferiore a quello registrato nel 2006, pari a 47.000 euro[10].

Il dato del 2006 è significativo, perché nel dicembre di quell’anno furono stipulati protocolli tra le categorie economiche ed il Ministero dell’economia per rendere gli studi più affidabili, e di assegnare loro un valore probatorio più elevato, posto che si registrava un incremento costante della percentuale media dei soggetti che dichiaravano ricavi “congrui” agli studi (circa l’86% del totale considerando anche gli adeguamenti in dichiarazione), senza un corrispondente aumento dei ricavi, e dei redditi medi dichiarati.[11]

Tale anomalia (diminuzione della maggiore base imponibile emersa e contemporanea crescita dei contribuenti congrui e coerenti sin dall’origine) è stata recentemente rilevata anche dalla Corte dei Conti nella sua audizione del 12 luglio 2012 alla Commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria.

Le cause di tale anomalia possono essere diverse:

– l’appiattimento dei ricavi dichiarati a livelli poco superiori alle soglie necessarie per ottenere la congruità, che pone al riparo da controlli più approfonditi, mantenendo una quota dei propri ricavi “sommersi”;

– le insufficienti procedure di controllo sulla qualità dei dati dichiarati dai contribuenti ai fini degli studi di settore, ed il mancato utilizzo dei dati comunque a disposizione dell’anagrafe tributaria, quale risultato di accertamenti passati effettuati dalla Guardia di Finanza ed Agenzia delle Entrate.

Il mancato controllo deriva anche da un utilizzo da parte di alcuni uffici periferici dell’Agenzia delle Entrate delle risultanze degli studi come strumento automatico di accertamento sulla base dello scostamento tra ricavo dichiarato e ricavo congruo, senza verificare la corrispondenza delle stime alla realtà economica del singolo contribuente o senza supportare le contestazioni con ulteriori elementi di supporto, trasformando il contraddittorio con il contribuente chiamato a difendersi dalle contestazioni in una mera trattativa sul quantum.

Le azioni messe in campo in passato per revisionare gli studi di settore

La consapevolezza di tali limiti, unita alla ridotta valenza probatoria degli studi di settore in sede di accertamento sancita dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze del 2010,[12] ha portato ad una loro perdita di affidabilità e di effetto deterrente.[13]

Prendendo atto di questa situazione, il legislatore con le manovre estive del 2011 (art. 23, comma 28 del DL n. 98/2011 ed art. 2, comma 35 del DL 138/2011), aveva ridotto la valenza probatoria difensiva della congruità agli studi di settore[14] per legittimare gli uffici ad adottare diversi strumenti di accertamento presuntivo (es. redditometro).

L’Agenzia delle entrate aveva ridotto sensibilmente il numero degli accessi per il riscontro dei dati rilevanti per l’applicazione degli studi di settore (si è passati dai circa 77 mila accessi per studi di settore ai circa 37.000 accessi nel 2011, che comprendono però anche gli ordinari controllo sugli obblighi strumentali di emissione delle ricevute o scontrini fiscali).

Il nuovo redditometro[15] ricostruisce in maniera sintetica il reddito complessivo della persona fisica (senza distinguere la fonte di provenienza)[16], partendo dalla relazione tra gli elementi di spesa ed i redditi dichiarati da tutti i contribuenti, includendo anche i dati fiscali comunicati da soggetti a minore rischio di evasione fiscale (quali i lavoratori dipendenti che hanno meno opportunità di occultare i propri redditi a causa all’intervento del sostituto di imposta).

Nel 2012, l’Agenzia è tornata ad effettuare una campagna di accessi “brevi” presso gli esercizi commerciali per verificare il rispetto degli obblighi strumentali (emissione di scontrini e ricevute fiscali). Tali attività hanno messo in luce situazioni a forte sospetto di evasione fiscale, come ad esempio anomali incrementi del 100-300% degli incassi giornalieri registrati dai locali commerciali nei giorni in cui erano presenti funzionari dell’Amministrazione finanziaria.[17]

Riflessioni sull’efficacia del nuovo regime premiale

Tali considerazioni sollevano perplessità sulle possibilità concrete che la concessione di un regime premiale per i contribuenti congrui e coerenti agli studi di settore possa produrre un effetto positivo di incremento della compliance volontaria e di incremento della base imponibile “emersa”.

Infatti, mentre in precedenza nei confronti dei soggetti congrui era sempre possibile effettuare accertamenti con ulteriori strumenti presuntivi diversi dagli studi di settore in casi di gravi incongruenze tra i ricavi attribuiti ai contribuenti sulla base di tali strumenti e quelli stimati dagli studi di settore, in futuro l’Amministrazione finanziaria non potrà utilizzare tali strumenti nei confronti dei soggetti aderenti al regime premiale.

I contribuenti congrui e coerenti aderenti al regime premiale potranno essere soggetti solo al controllo analitico (difficile per soggetti a contabilità semplificata) o all’accertamento sintetico ove si superino le maggiori soglie. La Corte dei Conti come rilevato nella citata audizione parlamentare del luglio scorso, segnalava proprio nella facilità di “aggiustamenti” dei dati esposti negli studi di settore il loro principale punto critico e richiedeva per contrastarlo una maggiore integrazione delle basi informative in possesso dell’Amministrazione finanziaria.

Tale maggior tutela da accertamenti dovrebbe far crescere secondo il legislatore l’autodichiarazione di maggiori ricavi da parte dei contribuenti, ma in realtà potrebbe accentuare quel fenomeno di appiattimento ai ricavi di congruità degli studi. Si trasformerebbe lo studio di settore in una sorta di “catasto” dei ricavi per le piccole imprese, non più visto ai fini dell’accertamento come correttamente tenuto dalle imprese negli anni scorsi (e definitivamente superato dopo le sentenze della Cassazione), ma come minimo ricavo da dichiarare per chiudere le vertenze con l’Amministrazione finanziaria (una sorta di “concordato preventivo” di massa).

Tali rischi sono compresi dallo stesso legislatore nel Decreto Salva Italia che, infatti, delega all’Agenzia delle Entrate, sentite le associazioni di categoria, il potere di differenziare i termini di accesso al regime premiale in base all’attività svolta dal contribuente, ammettendo implicitamente che la congruità agli studi di settore per alcune attività economiche sia meno “affidabile” rispetto a quella di altre attività, se non supportata da ulteriori presupposti, lasciando all’Amministrazione finanziaria “l’ingrato” (e soprattutto non spettante) compito di scegliere chi mandare in “paradiso”.

L’Agenzia delle Entrate ha identificato tali specifici parametri utili a inquadrare gli studi “premiali”, nel Provvedimento direttoriale del 12 luglio 2012, n. 2012 relativo al periodo di imposta 2011.

In particolare, sono stati ammessi al regime premiale gli studi di settore per i quali sono previsti almeno 4 indicatori di coerenza economica tra quelli elencati dal Provvedimento[18], ovvero almeno 3 indicatori di coerenza economica e che contemporaneamente, sulla base delle risultanze del Gruppo di lavoro “Economia non osservate e flussi finanziari”,[19] presentino una percentuale di valore aggiunto “sommerso” inferiore rispetto alla media nazionale.

Sempre per esigenze di tutela fiscale, viene previsto che l’accesso è consentito solo ai contribuenti che abbiano regolarmente assolto agli obblighi di comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, indicando fedelmente tutti i dati previsti: non ostano all’ammissione al regime premiale errori o omissioni di dati, a condizione che non comportino la modifica dell’assegnazione ai cluster (gruppo economico omogeneo), al calcolo dei ricavi o dei compensi stimati o del posizionamento rispetto agli indicatori di normalità e di coerenza.

In realtà, molti degli errori di compilazione dei modelli degli studi di settore commessi dai contribuenti si concentrano nella parte descrittiva dell’attività economica svolta dal contribuente contenuta nel modello degli studi di settore e contribuiscono, con diverso peso, alla collocazione del contribuente nei cluster.

Quindi, si potrebbero verificare casi di contribuenti esclusi dal regime premiale per meri errori di compilazione commessi in buona fede a causa delle sintetiche, e spesso poco chiare, istruzioni alla compilazione dei modelli degli studi di settore[20], con rischi di incremento di contenzioso con l’Amministrazione finanziaria.

Appare, inoltre, discutibile sul piano giuridico la previsione di concedere ai soggetti che beneficiano del regime premiale sugli studi di settore una soglia di difesa più elevata da accertamenti sintetici sulle persone fisiche (es. imprenditori e professionisti), rispetto a quella prevista (un quinto) per tutti gli altri contribuenti (es. lavoratori dipendenti).[21]

Si consideri che i due strumenti di accertamento presuntivo operano su piani di contribuenti differenti e con finalità diverse: il redditometro segnala situazione anomale di divergenza tra il “tenore di vita” delle persone fisiche ed i redditi dichiarati, senza individuare quale siano le fonti di tale maggior reddito accertato sinteticamente, mentre gli studi di settore analizzano i ricavi dichiarati dalle attività di impresa e professionali, per segnalare situazioni di non congruità rispetto alla realtà di un determinato settore economico. I due strumenti presuntivi di controllo dovrebbero agire in sinergia fra loro[22] e non secondo un rapporto di gerarchia.

Non convince la linea di contrasto all’evasione fiscale dando prevalenza agli studi di settore come unico strumento di controllo “a tavolino” sulle piccole imprese e professionisti, per concentrare i controlli sui soggetti di medie dimensioni (incremento del 43% dal 2007 al 2011) e di grandi dimensioni (aumentati del 263% nel quinquennio 2007-2011).[23]

La scelta della metodologia di accertamento tra le diverse categorie economiche non risponde ad una valutazione di diversi obblighi strumentali cui sono tenuti (sono soggetti agli studi di settore sia i soggetti a contabilità ordinaria che quelli a contabilità semplificata), ma ad un mero elemento reddituale posto che sono soggetti agli studi di settore (e quindi al regime premiale) coloro che dichiarano ricavi o compensi inferiori ad una data soglia (attualmente pari a 5.164.569 euro).

In tal senso, la scelta del legislatore sembra non conforme alla volontà di andare verso un sistema fiscale che premi soltanto i soggetti più affidabili, ossia come espresso nella legge di delega della riforma fiscale attualmente all’esame del Parlamento (AC n. 2591/2012) quei soggetti dotati di “sistemi aziendali strutturali di gestione e di controllo del rischio fiscale” per i quali sussiste un minor rischio fiscale.

Tale politica non sembra coerente, inoltre, con la volontà dell’Amministrazione finanziaria di aumentare la qualità dei controlli fiscali, e di introdurre una maggiore specializzazione dei reparti operativi in base alla tipologia di contribuente da controllare (come avvenuto con l’istituzione dell’Ufficio centrale antifrode, dell’Ufficio per il contrasto degli illeciti fiscali internazionali e dell’Ufficio Grandi imprese).

Una possibile alternativa al regime premiale

Per superare tali perplessità, si propone un’alternativa al regime premiale per recuperare la centralità degli studi di settore, come strumento presuntivo per l’Amministrazione di monitorare una platea così vasta di contribuenti, attraverso una revisione del loro principale punto debole: il mancato controllo capillare sulla veridicità dei dati dichiarati dai contribuenti nei modelli presi come base per la loro elaborazione[24].

In primo luogo si dovrebbe ridurre la platea dei contribuenti interessati agli studi di settore, concentrandosi sulle attività a maggior rischio fiscale (che operano con consumatori privati) e per le quali l’analisi della struttura economico-aziendale può dare risultati credibili (es. attività marginali).

In particolare, si dovrebbe valutare l’opportunità di escludere le attività professionali, tassate per cassa, per le quali la relazione tra le variabili economiche di svolgimento delle attività ed incassi è meno solida in assenza di una struttura aziendale[25] e rende meno affidabili le risultanze degli studi, e valutare modalità alternative di controllo (es. maggior ricorso ad indagini finanziarie[26] ed utilizzo del nuovo redditometro per ricostruire il reddito dal tenore di vita).

Per la restante platea dei contribuenti soggetti agli studi di settore (circa 2,7 milioni di contribuenti), si potrebbe utilizzare una tecnica, inizialmente in via sperimentale, di monitoraggio degli incassi per brevi periodi (ripetuti più volte nell’arco dell’anno per avere dati significativi), con riferimento agli anni di imposta che sono presi come base l’evoluzione triennale dei ricavi di congruità e gli indici di coerenza (la revisione triennale interessa ogni anno circa 60 studi di settore, relativi a circa 900 mila contribuenti).[27] Non si agirebbe in funzione repressiva per la verifica del rispetto degli obblighi strumentali, ma in via preventiva.

Considerate le limitate risorse dell’Agenzia delle Entrate, tale tecnica di monitoraggio degli incassi giornalieri potrebbe essere applicata solo ad una quota limitata dei 60 studi di settore soggetti a revisione ogni anno, concentrandosi su quelli a maggiore rischio fiscale (quelli che operano con privati), ed all’interno del medesimo studio di settore, solo con riferimento ad un campione ridotto di contribuenti appartenenti ai cluster più significativi.

Si potrebbe utilizzare il personale destinato ogni anno dall’Agenzia delle entrate al controllo dei dati comunicati per le risultanze degli studi di settore ed alla verifica degli obblighi strumentali (circa 40.000 accessi), in via preventiva per monitorare i redditi effettivi conseguiti nell’anno di riferimento, che sarà preso come base per l’evoluzione degli studi settore nel successivo triennio.

L’efficacia di tale procedura di monitoraggio dei ricavi nel contrasto al sommerso è attestata dai comunicati stampa della stessa Agenzia delle Entrate nei recenti controlli effettuati sul territorio nazionale (Milano, Roma, Cortina) che riportano di “anomali” incrementi degli incassi giornalieri registrati dagli esercizi commerciali (dal 100 al 300%) durante il periodo di accesso del personale dell’Agenzia. Tale metodologia di controlli programmati, su una platea qualificata, consentirebbe di ottenere informazioni economiche più veritiere (e ricavi dichiarati più allineati a quelli reali) sui quali “calibrare” i nuovi studi di settore.

La maggiore affidabilità acquisita dalle risultanze degli studi di settore consentirebbe di concedere maggiori vantaggi fiscali e finanziari per le imprese “monitorate” e che risultano congrue alle nuove risultanze (riduzione dei tempi per incasso dei crediti commerciali vantati verso la Pa, eliminazione dell’obbligo del visto di conformità per la compensazione orizzontale dei crediti Iva, facilitazioni nella concessione della rateizzazione dei debiti tributari) sicuramente più utili per le imprese “trasparenti” rispetto ad una garanzia di minori controlli fiscali.

Tale processo di monitoraggio potrebbe produrre risultati positivi in termini di riduzione strutturale dell’evasione fiscale nel medio lungo periodo (almeno 5 anni), posto che l’incremento dei ricavi (e dei redditi) per le attività che operano con il pubblico produrrebbe un effetto moltiplicatore dei ricavi anche per i settori che si collocano negli stadi precedenti della catena produttiva, posto che la sottofatturazione trova origine evidentemente da “acquisti in nero” (salvo anomali gonfiamenti di magazzino che sono già tracciati dagli indici di coerenza economica attuali degli studi di settore).

Per concludere, al fine di potenziare l’effetto di emersione, sarebbe necessario di affiancare tale tecnica di controllo con altre misure di monitoraggio del sommerso che incentivi una partecipazione più attiva dei consumatori privati (es. contrasto di interessi[28], lotterie collegate allo scontrino fiscale[29]), il cui costo per l’Erario per riconoscere i vantaggi fiscali e/o finanziari ai privati sarebbero recuperati dai maggiori incassi in termini di imposte (Irpef- Ires, Iva, contributi previdenziali, Irap) versate dai soggetti che operano negli anelli a monte della catena produttiva[30].

Solo un’azione costante di riduzione del sommerso può evitare di dover introdurre in futuro, nella attuale situazione di crisi di bilancio dell’Italia, ulteriori incrementi delle imposte indirette[31], delle imposte patrimoniali[32], imposte settoriali di dubbia costituzionalità[33], e consentire di ragionare concretamente su una riduzione dello spread nella tassazione dei redditi delle persone fisiche che esiste rispetto ai principali Stati europei[34].

Note:

[1] Sono previste due tipologie di indicatori di coerenza economica: quelli cosiddetti di “coerenza economica” e quelli co-siddetti di” normalità economica”. Gli indici di coerenza economica mirano a individuare delle significative situazioni di incoerenza di natura economica, finanziaria e patrimoniale (es. durata delle scorte, VA per addetto, resa del capitale rispetto al valore aggiunto, MOL sulle vendite, ecc.) dei dati comunicati nel modello degli studi di settore e segnalano situazioni di rischio fiscale. Il decreto del MEF del 26 aprile scorso ha integrato l’elenco con ulteriori indici di coerenza economica. Gli indici di normalità economica, specifici per singolo settore, hanno l’obiettivo di contrastare i fenomeni di “infedele dichiarazione” dei dati al fine di ottenere la congruità ed in caso di anomalie, a differenza di quelli di coerenza, determinano maggiori ricavi stimati cui il contribuente può adeguarsi in dichiarazione.

[2] In passato, fino alle modifiche intervenute con le manovre estive del 2011, si prevedeva un vincolo per l’Amministrazione finanziaria di potere procedere all’utilizzo di metodi di accertamento induttivi nei confronti dei soggetti congrui e coerenti solo qualora, dall’applicazione di tali metodi risultavano maggiori ricavi omessi superiori al 4o% dei ricavi dichiarati, con un massimo di 50.000 euro ed a condizione che l’Amministrazione motivasse le ragioni dell’inadeguatezza degli studi di settore.

[3] Es. invio mensile delle comunicazioni ai fini IVA e del 770 mensile semplificato.

[4] Antonio Iorio, Mancano i premi per chi si adegua, Il sole 24 ore del 20 agosto 2012.

[5] Anche i vantaggi riconosciuti si differenziano da quelli previsti dal regime di trasparenza fiscale di cui all’art. 10, commi da 1 a 8 dove si prevedono minori adempimenti fiscali con minori costi per la loro tenuta, accelerazione dei tempi di rimborso dei crediti IVA, esclusione dalla stretta sulle compensazioni dei crediti tributari per le imprese che accettano volontariamente tali nuovi obblighi di “trasparenza”

[6] Relazione di accompagnamento alla conversione in legge del DL n. 201/2011.

[7] Nell”indagine conoscitiva sull’anagrafe tributaria nel contrasto all’evasione fiscale approvata dalla Commissione parlamentare di vigilanza nella seduta del 15 luglio 2009 si affermava che “oggi non vi è chi non veda come gli studi di settore da soli siano fisiologicamente incapaci di individuare in maniera credibile la capacità contributiva”.

[8] Analisi sui dati comunicati ai fini degli studi di settore per macrosettore, area geografica e natura giuridica per ii periodi di imposta 2005-2009 e 2007-2010, pubblicato sul sito del Ministero dell’economia delle Finanze al seguente link http://www.finanze.gov.it/export/finanze/Per_conoscere_il_fisco/studi_statistiche/studi_settore/index.htm

[9] La lotta all’evasione fiscale non si misura solo dalle somme riscosse dall’attività di accertamento, ma dal grado di divergenza tra i redditi fiscali dichiarati ed i livelli di benessere economico sul territorio, che misura la compliance volontaria dei contribuenti.

[10] L’analisi per macrosettori del reddito medio d’impresa o di lavoro autonomo, dichiarato dai contribuenti congrui agli studi di settore nel quinquennio 2007-2010, evidenzia come il reddito medio dei soggetti congrui è influenzato fortemente dai risultati dei professionisti (71 mila euro) e delle manifatture (44 mila euro), rispetto ai settore del commercio (30 mila euro) o e servizi (38 mila euro) che si attestano in media a soglie inferiori alla media. L’indagine conoscitiva fatta dal LEF nel 2012 sulla struttura dell’IRPEF per gli anni di imposta 2003-2010 risulta che i redditi di imprenditori individuali e professionisti e di partecipazione rappresentano solo il 15% del totale dei redditi soggetti all’IRPEF.

[11] Carpentieri, La “compliance” ai ricavi stimati dagli studi di settore secondo l’Agenzia delle entrate, Corriere Tributario, n.19/2012.

[12] Sentenze n. 26635, n. 26636, n. 26637 e n. 26638, depositate il 18 dicembre 2009, Sezioni Unite della Corte di Cassazione. L’Amministrazione finanziaria ha recepito l’orientamento espresso in tali sentenze fissando precise regole procedurali del contraddittorio con la circolare n. 19/2010.

[13] Attestata anche da una sempre minore partecipazione delle imprese alle riunioni convocate dall’Agenzia delle entrate per presentate e discutere gli studi di settore.

[14] In passato l’Amministrazione finanziaria poteva procedere all’utilizzo di altri metodi di accertamento induttivi per i contribuenti congrui agli studi di settore solo qualora i maggiori ricavi accertati superavano per più del 40% i ricavi dichiarati, con un massimo di 50.00 euro e doveva comunque evidenziare i motivi che rendevano lo studio di settore inadeguato ed inducevano l’ufficio a disattenderne le risultanze (obbligo di motivazione rafforzata).

[15] E’ stato presentato al pubblico dall’Agenzia delle Entrate il 25 ottobre 2011, ma non è ancora entrato in vigore.

[16] Con l’effetto che il maggior reddito attribuito ai fini IRPEF non ha valenza ai fini IRAP ed IVA. Nelle prime versioni del disegno di legge delega di riforma fiscale allo studio del Governo Monti (AC 5291/2012), nell’art. 10, lett. e) si prevedeva che, salvo prova contraria, il maggior reddito accertato sinteticamente a fini Irpef assumesse rilevanza anche ai fini degli obblighi contributivi, nonché delle altre imposte, in quanto dovute per effetto della natura dell’attività svolta. Tale previsione è scomparsa dal testo finale.

[17] Sarebbe utile conoscere se tali contribuenti che hanno registrato tali “anomali” incrementi di incassi erano soggetti agli studi di settore e se risultavano congrui e coerenti ai medesimi studi.

[18] Gli indicatori di coerenza economica previsti nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate di Luglio sono:

– di efficienza e produttività del fattore lavoro;

– di efficienza e produttività del fattore capitale;

– di efficienza di gestione delle scorte;

– di redditività;

– di struttura.

[19] Il Gruppo di lavoro fu istituito nel 2011 dall’ex Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ed è stata presieduta dal Prof. Giovannini.

[20] Considerando che come ogni dichiarazione fiscale il modello degli studi di settore viene compilato da consulenti fiscali che, nella generalità dei casi, hanno poca conoscenza delle informazioni tecniche ed economiche sull’attività richieste nel modello e che devono affidarsi al cliente, che a sua volta non comprende quale sia il dato richiesto oppure presenta specificità operative che non sono considerate nel modello perché non sono state sollevate in sede di elaborazione del modello o perché sopraggiunte negli anni successivi alla sua elaborazione.

[21] William Rossi, Studi di settore. Il nuovo regime premiale a rischio costituzionalità, Fisco equo del 23 gennaio 2012.

[22] Trevisani, Lo stato dell’arte in materia di studi di settore, Corriere tributario, n. 8/2010.

[23] Book sul recupero dell’evasione fiscale nel 2011, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate.

[24] La Commissione parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria del 2009 nella sua relazione finale affermava che solo il 2% delle imprese possono essere controllate ogni anno dall’Amministrazione finanziaria.

[25] Basti pensare il riferimento al tempo dedicato all’attività professionale di difficile controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

[26] La stessa Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 13 del 2009, invitava se gli uffici a ricercare ulteriori elementi di prova per rafforzare le presunzioni degli studi di settore, con particolare riferimento agli accertamenti effettuati nei confronti degli esercenti arti e professioni, dove l’assenza di una vera struttura produttiva non pienamente attendibile la stima degli studi che doveva essere integrata con lo strumento delle indagini finanziarie

[27] Tale procedura sperimentale fu proposta da Roberto Convenevole, ex responsabile dell’Ufficio studi dell’Agenzia delle Entrate nel libro “La materia oscura dell’IVA” 2009, paragrafo 6.6 e seguenti. Si proponeva per ridurre l’invasività dei controlli l’esclusione per definizione della modalità di appostamento esterno finalizzato alle sanzioni in caso di mancata emissione degli scontrini fiscali.

[28] A. Santoro, Il conflitto di interesse come soluzione all’evasione fiscale?, Università Commerciale Luigi Bocconi, Short Note n. 7 Novembre 2006; ritiene che il conflitto d’interesse è una soluzione che può aiutare a ridurre l’evasione solo in presenza di due condizioni:

· se c’è una qualche forma di controllo sulle transazioni, percepita dagli individui sotto forma di rischio di pagare una sanzione nel caso di evasione;

· se gli individui non sono perfettamente egoisti, e quindi attribuiscono un certo disvalore sociale

M.C. Guerra e A. Zanardi, Il contrasto di interessi non è la soluzione all’evasione fiscale. La voce.info 2006 ritengono che per rendere efficace il contrasto di interesse l’agevolazione riconosciuta ai contribuenti onesti dovrebbe essere tale da annullare completamente il gettito dello Stato.

In realtà le loro valutazioni non tengono conto dell’extragettito fiscale che verrebbe recuperato dallo Stato nei passaggi precedenti la vendita al consumatore finale in nero, la quale deriva da acquisti in nero dal fornitore (salvo non si voglia gonfiare in modo anomalo il magazzino) fino a risalire la catena commerciale. In tali ipotesi, lo Stato recupererebbe anche il gettito della maggiore IRAP/IRES/IVA sul valore aggiunto prodotto dagli intermediari intervenuti nella catena commerciale.

[29] D.Corrado e M. Leonardi, San Paolo, dove l’IVA non si evade, La voce.info 2011

[30] La proposta nell’articolo di un maggior presidio mirato sul Territorio da parte dell’Amministrazione finanziaria eviterebbe i rischi di accordi collusivi tra compratori e venditori paventati dalla Prof. Guerra.

[31] L’attuale aliquota ordinaria al 21% ci pone nella parte alta della classifica dell’Europa a 27, sopra altri Paesi tradizionalmente concorrenti nel settore industriale come Francia e Germania.

[32] L’intervento sull’IMU e sull’IVIE rappresenta un evidente incremento dell’imposizione patrimoniale sugli immobili, come ammesso nella relaziona di accompagnamento del Disegno di legge delega di riordino del sistema fiscale in discussione al Parlamento (Atto Camera 5291)

[33] L’addizionale IRES per il settore energetico (la c.d. Robin Hood Tax) è attualmente al vaglio della Corte Costituzionale

[34] L’aliquota dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è sullo scaglione di redditi inferiore a circa 28 mila euro è pari al 14% in Francia e Germania rispetto al 27% in Italia (Atto Camera 4566 sui Sistemi fiscali in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna del settembre 2011). Si segnala che il documento effettua un confronto solo parziale sulle aliquote nominali, non fornendo informazioni sui regimi di detrazione e deduzioni fiscali vigenti nei diversi Paesi europei.

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