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sabato 20 Dicembre 2025
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La proposta di patrimoniale della Cgil: indispensabile riordinare prima il catasto

di Carlo Palumbo

L’ipotesi di introdurre una imposta patrimoniale personale generale in Italia, rilanciata dalla Cgil nel dibattito sulla legge di bilancio 2025, deve avere come premessa indispensabile una equa e radicale riforma del catasto al fine di allineare i valori delle rendite a quelli di mercato. Inoltre sarà necessario analizzare attentamente come coordinare la nuova imposta con tutte le forme di prelievo che colpiscono la ricchezza o il patrimonio già presenti nel nostro ordinamento. Ma andiamo con ordine. 

La proposta sindacale, che si presenta come un “contributo di solidarietà” finalizzato al finanziamento della spesa sociale e alla riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro, si colloca nell’ambito delle imposte personali sul patrimonio netto, cioè di quei tributi ricorrenti che non colpiscono la produzione di reddito o il trasferimento della ricchezza, bensì la ricchezza detenuta in quanto tale. L’idea è quella di concentrare il prelievo sulla fascia più benestante della popolazione, limitandone l’incidenza a chi possiede un patrimonio netto complessivo superiore ai due milioni di euro.

La platea dei potenziali contribuenti, stimata intorno alle cinquecentomila persone, rappresenterebbe meno dell’un per cento della popolazione italiana, un elemento che conferisce alla misura un’alta selettività e un chiaro orientamento redistributivo. La base imponibile sarebbe costituita dall’intero patrimonio netto della persona fisica, comprendente immobili, strumenti finanziari, partecipazioni societarie – quotate e non quotate – e liquidità, con inclusione delle attività detenute all’estero e deduzione delle passività. 

L’aliquota ipotizzata oscilla tra l’uno e l’uno virgola tre per cento, applicata esclusivamente alla parte di patrimonio che eccede la soglia dei due milioni. Pur trattandosi tecnicamente di un’aliquota proporzionale sull’eccedenza, la presenza della soglia conferisce all’imposta un carattere marcatamente progressivo. Le stime di gettito elaborate dalla Cgil parlano di circa ventisei miliardi di euro annui, una cifra significativa che, se realistica, collocherebbe la patrimoniale italiana su un livello comparabile, in termini di incidenza sul Pil, ad alcune delle esperienze europee più consolidate.

Si tratta comunque di stime che richiedono prudenza, poiché dipendono da molte variabili tecniche e comportamentali, tra cui il livello effettivo della ricchezza dichiarata, la capacità dell’amministrazione finanziaria di effettuare valutazioni accurate e la possibilità che si verifichino fenomeni elusivi o spostamenti di residenza fiscale da parte dei soggetti più abbienti. Tuttavia, un’imposta patrimoniale generale comporta inevitabilmente un problema strutturale che l’Italia non può eludere: il sistema catastale attualmente in vigore, risalente nelle sue fondamenta ai primi decenni del Novecento, non è più in grado di rappresentare in modo realistico il valore degli immobili, che costituiscono la componente patrimoniale principale della maggior parte dei contribuenti, inclusi molti soggetti con elevata ricchezza.

Le rendite catastali, base di calcolo per le imposte immobiliari, risultano infatti profondamente disallineate rispetto ai valori di mercato, spesso sottostimate e distribuite in modo irregolare sul territorio. L’introduzione di un’imposta patrimoniale coerente presuppone quindi un aggiornamento organico del sistema catastale, fondato su criteri valutativi più attuali e trasparenti, in grado di rappresentare il valore effettivo degli immobili e di assicurare un’applicazione equa del prelievo. Senza una riforma del catasto – a lungo discussa ma finora mai portata a compimento – la determinazione della base imponibile rischierebbe di essere distorsiva, generando disparità ingiustificate tra contribuenti con patrimoni immobiliari di valore simile ma con rendite catastali non comparabili.

Una patrimoniale generale, per definizione fondata su una valutazione puntuale della ricchezza complessiva, non può quindiprescindere da un aggiornamento delle rendite catastali che ne costituisce un presupposto tecnico imprescindibile.

In questo contesto è essenziale ricordare che l’ordinamento tributario italiano già comprende alcune imposte patrimoniali, sebbene di natura settoriale e dunque profondamente diverse da una patrimoniale personale e generale. L’Imu, imposta municipale propria, è un tributo ricorrente che colpisce il possesso di immobili, con esclusione della maggior parte delle abitazioni principali. L’Ivie, imposta sul valore degli immobili situati all’estero, replica sul patrimonio immobiliare estero un prelievo analogo a quello dell’Imu, mentre l’Ivafe, imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero, colpisce il possesso di strumenti finanziari stranieri, configurando un prelievo patrimoniale limitato alle attività estere di natura finanziaria.

Questi tre tributi costituiscono un insieme frammentato, disomogeneo, costruito su basi imponibili settoriali e non coordinato da una logica unitaria. Non esiste, nell’assetto vigente, un’imposta personale sul patrimonio netto complessivo, e ciò rende il sistema patrimoniale italiano profondamente asimmetrico: alcuni cespiti sono gravati da prelievi ricorrenti anche rilevanti, altri non lo sono affatto; alcune forme di ricchezza sono colpite solo se detenute all’estero; altre, come le partecipazioni societarie non quotate, sfuggono completamente all’imposizione patrimoniale.

È proprio per questa ragione che l’eventuale introduzione di una patrimoniale generale sui grandi patrimoni non potrebbe avvenire senza un intervento di riordino sistematico. Il nuovo tributo dovrebbe essere armonizzato con le imposte esistenti, chiarendo in che modo Imu, Ivie e Ivafe, verrebbero integrate, compensate, assorbite o rimodulate. Una sovrapposizione non governata produrrebbe fenomeni di doppia imposizione, mentre una loro abolizione integrale o parziale richiederebbe una valutazione attenta degli effetti sul gettito locale e sulla struttura complessiva dei tributi immobiliari e finanziari.

Nella maggior parte delle proposte tecniche avanzate in ambito parlamentare si immagina che una patrimoniale di carattere generale possa assorbire o incorporare alcune di queste imposte settoriali, in modo da ricondurre a sistema la tassazione patrimoniale e costruire un quadro coerente e non duplicativo. La sfida, in ogni caso, sarebbe quella di passare da un mosaico di imposte settoriali a un’imposta personale organica che colpisca la ricchezza nella sua interezza e che richiede, per funzionare correttamente, anche un’infrastruttura catastale aggiornata e attendibile.

Sul piano giuridico, l’imposta si presenterebbe dunque come un tributo di natura personalistica e periodica, distinto dalle imposte patrimoniali attualmente vigenti in Italia e potenzialmente idoneo a sostituirle in parte. La corretta integrazione della nuova imposta con il sistema esistente richiederebbe un intervento normativo complesso, volto a ristabilire un’unità del prelievo patrimoniale e a ridurre la frammentazione oggi esistente. Sotto il profilo costituzionale, la misura appare, almeno in astratto, compatibile con l’articolo 53 della Costituzione: la capacità contributiva è chiaramente individuata nella titolarità di una ricchezza elevata e la progressività è assicurata dalla soglia di esenzione. Rimangono tuttavia da valutare la sua conformità al divieto di prelievo confiscatorio e la sua incidenza sui beni produttivi, in particolare sulle partecipazioni societarie e sulle imprese familiari, che potrebbero richiedere regimi agevolativi simili a quelli già sperimentati in altri ordinamenti europei.

Il confronto con l’Europa offre elementi ulteriori di riflessione. Solo tre Paesi adottano oggi una vera “net wealth tax”: Spagna, Norvegia e Svizzera. In Spagna, la patrimoniale regionale è integrata da una tassa nazionale sulle grandi fortune; in Norvegia, la patrimoniale colpisce una platea assai più ampia, comprendendo anche il ceto medio; in Svizzera, l’imposta patrimoniale cantonale costituisce una componente stabile e strutturale del federalismo fiscale e rappresenta la forma di prelievo patrimoniale più significativa del continente. Altri Paesi, come Francia, Belgio e Paesi Bassi, hanno adottato forme parziali di tassazione della ricchezza, mentre molti Stati europei hanno abbandonato le patrimoniali generali negli ultimi decenni.

In conclusione, la proposta della Cgil riapre in Italia un dibattito che richiede un equilibrio non semplice tra equità e governabilità del sistema tributario. La comparazione internazionale suggerisce che una patrimoniale mirata sui grandi patrimoni può essere compatibile con i principi costituzionali e adottabile senza effetti distorsivi, purché inserita in un quadro normativo coerente, sostenuta da una solida capacità amministrativa, da criteri di valutazione del patrimonio realistici e da un sistema catastale finalmente aggiornato e attendibile. La sua riuscita dipenderebbe non solo dalla volontà politica, ma soprattutto dalla qualità tecnica della sua progettazione e dalla capacità del sistema tributario di garantirne l’effettiva applicazione.

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