di Lelio Violetti
La recente campagna elettorale ha evidenziato una particolare attenzione dei partiti alla situazione dei cittadini più bisognosi. Tra le proposte più significative avanzate il reddito di cittadinanza da parte del Movimento 5 stelle, l’intervento sulle detrazioni dei figli a carico e l’estensione del bonus di 80 euro alle partite Iva da parte del Pd e l’introduzione dell’assegno universale alle famiglie da parte di Liberi e Uguali. Tutte proposte di forte impatto e che per essere gestite correttamente necessiterebbero di una adeguata struttura tecnico organizzativa dedicata al welfare. Si tratterebbe in pratica di istituire una Anagrafe dell’assistenza. Un tema finora sottovalutato e che non compare in nessuna delle proposte dei partiti ma che sarebbe essenziale per soddisfare in modo adeguato l’assistenza economica e sociale ai singoli e alle famiglie. E ciò a maggior ragione in un paese come il nostro dove i soggetti che operano nel campo del sostegno e dell’assistenza ai più deboli sono molteplici (Comuni, Regioni, Inps, Fisco) e spesso uno non sa cosa fa l’altro. Generando spesso situazioni di sovrapposizioni con i più furbi che riescono ad ottenere molteplici benefici e altri che ne restano esclusi.
Finora nel settore pubblico italiano, infatti, si è molto investito nei sistemi informativi previdenziale (Inps) e fiscale (l’Anagrafe tributaria) ma non altrettanto si è speso per mettere in piedi quello assistenziale. Si è in sostanza dato vita a due eccellenze in campo gestionale e tecnologico, riconosciute anche nel contesto europeo, ma nulla o poco si è fatto per creare un sistema informativo dedicato all’assistenza, la cosiddetta “Anagrafe dell’assistenza”.
Nei due campi previdenziale e fiscale sono oggi attive strutture dal costo non indifferente ma che rispondono in modo appropriato ad esigenze amministrative alla cui base c’è un impianto legislativo e procedurale di elevata complessità.
Per dare un’idea dello sforzo compiuto, ad esempio in campo fiscale, si può fare riferimento alle applicazioni informatiche, realizzate a supporto dei cittadini (la cosiddetta precompilata) e degli intermediari, per la compilazione della dichiarazione dei redditi che ogni anno interessa oltre 40milioni di italiani.
La qualità di queste applicazioni è piuttosto elevata, se messe a confronto con le analoghe esistenti in Francia e in Spagna come ognuno può direttamente constatare, accedendo al sito del Ministero dell’Economia francese o a quello dell’”Agencia Tributaria (AT)” spagnola.
È vero che in questi due paesi la legislazione fiscale è assai meno oscura e complessa della nostra e c’è, pertanto, da chiedersi se forse non era economicamente più conveniente semplificare il calcolo per determinare le nostre imposte, riducendo magari il numero e l’astrusità delle agevolazioni presenti, piuttosto che dare vita a sofisticate e dispendiose reti telematiche.
A fronte della modernità di previdenza e fisco manca in Italia, anzi è completamente assente, un sistema informativo dedicato alla gestione dell’assistenza. Una terza gamba, cioè, che provveda, ad assistere, economicamente e socialmente, i cittadini e le famiglie con propri archivi “corretti, validi ed esaustivi”, con proprie “procedure informatiche”, codificate sulla base della legislazione vigente, e con un’”autonoma struttura amministrativa”.
Viste le proposte/promesse elettorali è una difficoltà non di poco conto, considerando i tempi (sicuramente anni) e i costi necessari per sviluppare e portare a regime una simile infrastruttura.
Per introdurre, dimensionare e organizzare tale innovazione, all’interno della nostra amministrazione, si può fare riferimento all’esperienza internazionale, in particolare a quella del mondo anglosassone (Regno Unito e USA) dove questo tipo di strutture sono presenti ormai da anni e sono state costruite nel tempo con notevoli investimenti.
Sta di fatto che la strada, seguita sino ad ora in Italia di far prevalentemente transitare l’assistenza attraverso il fisco, non funziona più, non è compatibile con le proposte/promesse elettorali ed ha creato, e crea tuttora, non pochi squilibri ed iniquità.
La prima carenza, e non di certo la più grave, deriva dal fatto che il fisco si relaziona con l’individuo e non con la famiglia e quindi non con le condizioni di disagio reale di chi si trova in difficoltà.
La seconda è collegata al fatto che chi non deve imposta (proprio chi ha più bisogno di assistenza e sono più di un terzo dei 40milioni di contribuenti) non ha alcun vantaggio dall’intervento assistenziale veicolato attraverso il fisco, in genere sottoforma di detrazione d’imposta.
Anche nel caso in cui l’assistenza è realizzata attraverso la concessione d’un credito d’imposta, e quindi come trasferimento diretto, c’è bisogno d’un soggetto terzo (ad esempio il datore di lavoro) che provveda materialmente a dare i soldi.
Non solo ma il fatto che l’agevolazione deve essere proporzionata alla ricchezza, o meglio alla povertà, di chi la riceve provoca nel fisco degli effetti iniqui che stravolgono la corretta applicazione delle aliquote d’imposta in quanto il beneficio diminuisce all’aumentare del reddito e provoca un incremento improprio dell’imposizione sulle cifre marginali.
Da questo punto di vista probabilmente sia il governo che il Partito democratico hanno molto trascurato gli effetti negativi del bonus mensile di 80 €, concesso ai lavoratori dipendenti. Infatti, una misura sociale così importante ha costretto il 27,34% dei contribuenti interessati (11.896.705) a richiedere l’integrazione del bonus in dichiarazione (1.522.880) e addirittura molti (1.730.642) sono stati costretti a restituirlo in tutto o in parte.
In questo modo, quella, che inizialmente era stata vista come una misura, che dava respiro e sollievo ai dipendenti con redditi medio-bassi, si è trasformata per troppi in un “incubo” e per rendersi conto di ciò basta dare un’occhiata ai toni usati nei social da chi è stato costretto a restituire in tutto o in parte il bonus.
Sorprende, pertanto, che il Partito democratico abbia proposto, con le stesse regole dei dipendenti, l’estensione del bonus di 80 € alle partite IVA per di più in un contesto dove non c’è neanche un datore di lavoro che può erogarlo.
Allo stesso modo e per le stesse regioni, a nostro parere, è molto dubbia la fattibilità della detrazione per i figli a carico erogata per intero anche per la parte che non ha capienza nell’imposta dovuta. Chi erogherà queste cifre mese per mese agli incapienti e a chi non ha un sostituto d’imposta? L’importo che non ha capienza verrà cumulato e rimborsato dopo molto tempo a valle della dichiarazione dei redditi? Si tenga conto che le famiglie interessate all’incapienza potrebbero essere milioni.
Inoltre, come, da chi e a chi verrà erogato il reddito di cittadinanza? Chi controllerà e vigilerà sulla correttezza d’una operazione proceduralmente così complessa?
Analogamente, sebbene separi il fisco dall’assistenza, queste domande valgono anche per l’”assegno universale alle famiglie” proposto da Liberi e Uguali.
Solo la creazione d’un sistema informativo dedicato all’assistenza, l’”Anagrafe dell’assistenza”, può dare una risposta concreta a tutte queste domande.