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martedì 17 Giugno 2025
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Cassazione conferma la validità dell’accertamento con il “tazzinometro”

La Cassazione conferma la validità del “tazzinometro” come metodo di accertamento del reddito dei bar. L’ordinanza n. 21130/2018 della Cassazione considera legittimo l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate del reddito conseguito, fondato sulla ragionevole quantità di polvere utilizzata per la preparazione del caffè.
La sentenza origina dalla vicenda processuale di una contribuente che impugna l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate eleva il reddito relativo all’attività di somministrazione di caffè. La commissione tributaria provinciale di Benevento accoglie il ricorso con sentenza, parzialmente riformata da quella della Regione Campania, che ridetermina i maggiori ricavi in euro 25.000. La Commissione Tributaria Regionale rileva, tra l’altro, che l’Ufficio ha correttamente calcolato in 8 g la polvere di caffè necessaria per una tazzina tenendo conto degli scarti di lavorazione. Per questo la CTR ritiene equo ridurre a 25.000 i maggiori ricavi conseguiti. La contribuente a questo punto ricorre in Cassazione ritenendo l’accertamento illegittimo in quanto la CTR non ha considerato che, in presenza di scritture contabili regolari, l’Ufficio non ha dedotto presunzioni gravi, precise e concordanti, non potendo considerarsi tale la percentuale di ricarico applicata sui prodotti e incomprensibile come la CTR sia giunta alla conclusione che per preparare una tazzina di caffè, occorrono 6,5-7 grammi di polvere riducendo così il reddito accertato in base a criteri meramente equitativi.
La Cassazione, con ordinanza n. 21130/2018 ha rigettato il ricorso poiché quando si deve procedere all’accertamento delle imposte sui redditi ai fini IVA, il fatto che le scritture contabili siano corrette, non esclude la legittimità del controllo analitico-induttivo del reddito d’impresa “sempre che la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente e sostanzialmente inattendibile, in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente”. Il secondo motivo del ricorso è parimenti infondato, poiché il giudice tributario di merito chiamato a valutare la legittimità e la fondatezza dell’atto impositivo deve analizzare “singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza nel senso precisato, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ”.
In questo caso la Commissione regionale ha ritenuto gli elementi forniti dall’Ufficio “gravi, precisi e concordanti” e che la contribuente non ha fornito prova contraria in merito alla quantità di polvere di caffè necessaria per preparare una tazzina.

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