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martedì 17 Giugno 2025
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Ocse, multinazionali sfuggono al fisco, servono nuovi principi di tassazione

Prima del G20 di Mosca l’organizzazione ha diffuso un report tecnico sui vari aspetti del problema. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno subito annunciato un’iniziativa comune. Italia grande assente.

di Yoda

Gli attuali criteri di tassazione degli utili realizzati dalle multinazionali non riescono più a garantire un corretto prelievo sugli utili realizzati nei diversi paesi. Siamo ormai in presenza di una crescente erosione della base imponibile dell’imposta societaria realizzata grazie al cosiddetto ‘profit shifting’ ossia lo spostamento artificioso degli utili d’impresa da una giurisdizione all’altra. Il tema, che riguarda tutti i grandi gruppi multinazionali, e in particolare le imprese della new economy, e’ stato affrontato nella riunione dei ministri delle Finanze del G20 il 15 e 16 febbraio a Mosca. E proprio alla vigilia del meeting il 12 febbraio scorso l’Ocse ha diffuso un Report ‘Addressing Base Erosion and Profit Shifting’ che mette a fuoco, sul piano tecnico, i vari aspetti del problema, arrivando per la prima volta alla conclusione che gli attuali principi di tassazione, formatisi con la Lega delle Nazioni a partire dal 1923, non tengono più il passo con i nuovi modelli organizzativi delle imprese che operano a livello internazionale, caratterizzati da fenomeni massicci di ‘frammentazione della produzione’ e che è quindi necessario esaminare soluzioni nuove e promuovere una generale riforma del sistema fiscale. Un invito, quello dell’Ocse, prontamente raccolto da Francia e Germania, mentre l’Italia per ora sembra ferma a guardare.

Nelle conclusioni del Report, l’Ocse annuncia un piano d’azione per elaborare le prime proposte di riforma in vista del prossimo G20 di luglio 2013, sollecitando la partecipazione al dibattito di tutti gli interessati, amministrazioni finanziarie, associazioni delle imprese, accademici e cultori della materia. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno subito annunciato un’iniziativa comune per un esame ravvicinato su questi temi e guideranno, ciascuna, un gruppo di lavoro dedicato, rispettivamente ai temi della giurisdizione e e-commerce, dei regimi fiscali, e del transfer pricing. Colpisce che l’Italia non si sia fatta promotrice dell’iniziativa insieme agli altri grandi Paesi dell’Unione. Forse non vi è ancora sufficiente consapevolezza del fatto che la tassazione delle multinazionali (comprese, ma non solo, quelle della new economy o del trasporto aereo) non è tanto un problema di accertamento, bensì soprattutto un problema di regole che, ormai inadeguate, devono essere modificate con un approccio globale e coordinato di tutti i principali Stati del mondo.

Sul punto, l’Ocse mostra di avere, invece, idee molto chiare. Il Report sulla Beps sottolinea infatti che, per quanto sussistano anche problemi legati alla compliance, si pone soprattutto un problema fondamentale di policy: “al di là dei casi di illegal abuse, che sono l’eccezione, le multinazionali coinvolte in operazioni di base erosion and profit shifting rispettano le disposizioni legali dei paesi in cui operano. I governi lo riconoscono e nel contempo sanno che un cambiamento del quadro legale di riferimento può solo avvenire con la cooperazione internazionale”. (traduzione libera).

La conclusione dell’Ocse è che sono proprio le attuali regole a creare, con la loro interazione, le maggiori opportunità di arbitraggio. Sul banco degli ‘imputati’ sono finiti tutti i criteri cardine di tassazione oggi universalmente condivisi: dai criteri di ripartizione dei diritti impositivi tra le giurisdizioni (che dettano la competenza di ‘chi’ tassa ‘cosa’), al concetto di ‘stabile organizzazione’ e alla sua stessa capacità di costituire un appropriato criterio di collegamento delle moderne imprese con un determinano territorio; ai prezzi di trasferimento basati sul principio della separate entity (sul principio per cui si assume che sia possibile determinare il reddito di una impresa appartenente ad un gruppo multinazionale, ossia il suo contributo alla formazione della ricchezza del gruppo, come se fosse un’impresa indipendente che si interfaccia con soggetti terzi); fino alla intrinseca ‘ambivalenza’ delle oltre 3000 convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni, che sono nate per evitare che dalla interazione degli ordinamenti si crei doppia imposizione e sono sempre più sfruttate per conseguire, con triangolazioni di comodo, effetti di totale esenzione anywhere. Temi su cui ci siamo già soffermati in un recente articolo su “fisco-equo” dedicato alla fiscalità delle grandi imprese che operano attraverso Internet.

Per quanto riguarda la dialettica tra ‘residenza’ e ‘fonte’, c’è un dato che meglio indica le dimensioni del problema. L’attribuzione della competenza impositiva allo Stato c.d. della residenza si giustificava, in base alla impostazione risalente ai primi del Novecento, con il fatto che esso era il territorio da cui traevano origine gli investimenti che creano la ricchezza delle imprese ed era, del pari, il paese in cui tale ricchezza era tendenzialmente ‘consumata’ dall’azionista di ultima istanza. Ma questa realtà non esiste più.

Ciò che emerge dal Report Ocse sulla Beps è che, a livello mondiale, gli investimenti ‘diretti’ (per tali intendendo le acquisizioni cross border di quote azionarie pari almeno al 10 per cento del capitale di una società localizzata in un altro Stato) avvengono in proporzioni massicce a partire da giurisdizioni che, paradossalmente, sono economicamente tra le più deboli del pianeta e i cui principali assets sono l’opacità dell’ordinamento e il livello di tassazione prossimo alle zero. I dati riportati nel Report indicano che nel 2010 Barbados, Bermuda e British Virgin Island hanno fatto maggiori investimenti nel mondo della Germania; che in questi ultimi anni le British Virgin Islands sono state il secondo maggiore investitore in Cina dopo Hong Kong e prima degli Stati Uniti; le Bermuda il terzo maggiore investitore in Cile, le Mauritius il maggiore investitore in India; mentre Cipro le British Virgin Islands, Bermuda e Bahamas sono i cinque maggiori investitori in Russia.

Ma è, questa, realtà o finzione? La domanda che non possiamo non porci è chi siano riconducibili le special purpose vehicles (Spe), titolari di così ingenti capitali e dove sia, dunque, l’ormai ‘fantomatico’ paese della residenza. E che dire del paese (o dei paesi) della ‘fonte’? Perché nella catena del valore, la quota di profitti tassabili attribuibile agli ordinamenti in cui si svolgono le attività economiche sostanziali – in cui sono collocati assets materiali e risorse umane o sono realizzati i ricavi – deve essere di gran lunga più modesta di quella che invece è associata ai beni immateriali, che sono facilmente trasferibili, all’interno del gruppo, a veicoli situati in quei medesimi paesi a bassa fiscalità? Paesi che si limitano a detenerli più o meno passivamente, nei quali non accade niente di economicamente rilevante, ma che diventano approdi privilegiati della ricchezza (esentasse) generata dall’interazione con le varie economie del mondo e punto di partenza degli investimenti: ad un tempo paesi della ‘residenza’ e paesi della ‘fonte’ (destinatari privilegiati della proprietà intellettuale e degli intangibles) cui è destinata la maggiore quota dei profitti.

L’Ocse prende atto che parallelamente alla ‘frammentazione della produzione” che interessa tutte le grandi imprese (e non solo quelle digitali), “vi è una crescente segregazione tra i paesi in cui hanno effettivamente luogo attività e investimenti effettivi e i paesi in cui i profitti sono registrati ai fini fiscali”. E che questa segregazione è favorita dalle regole di transfer pricing sulla allocazione dei rischi e degli assets all’interno del gruppo, perché l’adozione del principio dell’entità separata finisce per facilitare gli schemi di pianificazione che prevedono l’isolamento del rischio e dell’asset a livello di un particolare membro del gruppo. Soprattutto in specifiche aree “le regole attuali producono risultati non desiderati”, permettendo che i maggiori profitti (tassabili) restino associati a costruzioni legali, assets immateriali e contratti di trasferimento legale dei rischi infragruppo, con il risultato di ridurre la quota dei profitti che invece può essere riconosciuta alle operazioni economiche sostanziali di produzione della ricchezza.

E, ancora. Lo sviluppo dell’economia digitale, chiarisce l’Ocse, ha messo sotto pressione anche altri consolidati istituti, compresi il concetto e la funzione stessa della stabile organizzazione. Oggi è infatti possibile essere coinvolti molto profondamente nella economia di uno Stato, ad esempio facendo affari via Internet con clienti qui localizzati, senza avere una ‘presenza’ tassabile (una stabile organizzazione materiale o personale). Perché, dunque, la presenza di una stabile organizzazione materiale o personale dovrebbe costituire il requisito ‘soglia’, in mancanza del quale non è possibile tassare i profitti di un’impresa non residente?. “In un momento in cui un soggetto non residente può trarre notevoli profitti da operazioni con clienti localizzati in un altro Stato, si pone il problema se le attuali regole consentono un’equa allocazione dei diritti impositivi sui profitti d’impresa, e specialmente quando questi profitti non sono tassati in nessun altro posto”.

Nessuno di questi criteri è di per sé decisivo; l’erosione della base imponibile della corporate tax trae vantaggio dalla combinazione dei differenti istituti, dall’interazione dei vari sistemi fiscali e proprio per questo – conclude l’Ocse – può essere molto difficile per un singolo Stato, che agisca da solo, combatterla con efficacia.

Occorre un approccio internazionale coordinato. L’Ocse si impegna a disegnare un piano d’azione globale e comprehensive basato sull’analisi delle aree critiche, con l’obiettivo di fornire soluzioni concrete (anche out of the box) per riallineare gli standards internazionali con l’attuale contesto globale e i nuovi modelli di business e “far meglio corrispondere i diritti impositivi con la reale attività economica”. Il piano si fa carico di individuare anche strumenti che possano consentire anche modifiche tempestive degli oltre 3000 accordi bilaterali contro le doppie imposizioni, che nel gioco delle triangolazioni artificiose, del tipo double Irish with dutch sandwich, giocano un ruolo privilegiato.

Una bozza della proposta Ocse sarà pronta entro luglio 2013 e sarebbe importante che anche la nostra amministrazione finanziaria assumesse, insieme alle imprese e ai cultori della materia, un ruolo attivo nella revisione del sistema fiscale, in coordinamento con gli altri grandi Stati Ocse.

Fisco- equo ritornerà su ciascuno dei temi su cui si è aperta la discussione in vista del prossimo meeting del G20 a luglio.

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