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giovedì 1 Maggio 2025
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Cassazione: reiterata omissione pagamento imposte configura bancarotta fraudolenta impropria

La protratta, sistematica, omissione del pagamento delle imposte, in caso di fallimento, può configurare il reato di bancarotta fraudolenta impropria.

Questa la conclusione a cui è giunta la Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza n. 1809 del 15.01.2024.

Nel caso di specie, il Tribunale aveva dichiarato l’imputato, quale amministratore di fatto di una Srl dichiarata fallita, colpevole di bancarotta fraudolenta impropria, per avere cagionato dolosamente il fallimento della società, mediante la sistematica omissione del versamento delle imposte e dei contributi previdenziali.

La Corte di appello di Milano aveva poi riconosciuto all’imputato le circostanze attenuanti generiche, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la mancanza della motivazione in merito al dolo specifico per il reato di cagionamento del fallimento per operazioni dolose, che, a suo avviso, richiedeva la coscienza e volontà dell’evento-fallimento.

Secondo la Suprema Corte il ricorso non era fondato.

Evidenziano i giudici di legittimità che, secondo la testuale previsione normativa di cui all’art. 223, co. 2, n. 2, L.F., la causazione del fallimento deve essersi verificata con dolo, “o per effetto di operazioni dolose”.

Si prevedono quindi due autonome fattispecie criminose, che contemplano entrambe una condotta dei soggetti che abbia determinato il dissesto da cui sia poi scaturito il fallimento.

Tali fattispecie si differenziano quanto all’elemento soggettivo, laddove, nell’ipotesi di causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente a operazioni dolose esso è sì l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha comunque accettato il rischio che esso si verificasse.

In sostanza, nel dissesto per dolo il fallimento deve essere l’obiettivo avuto di mira dall’agente, mentre nel dissesto per effetto di operazioni dolose le stesse postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente da una pluralità di atti, come anche il protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che renda prevedibile, anche se non direttamente voluto, il conseguente dissesto della società.

Tale seconda fattispecie è quindi a titolo di dolo eventuale, essendo pertanto sufficiente la consapevolezza di porre in essere un’operazione che, concretandosi in un abuso o infedeltà nell’esercizio della carica ricoperta, o in un atto intrinsecamente pericoloso per la salute economico finanziaria della società, determini l’astratta prevedibilità del fallimento, quale effetto della condotta antidoverosa.

Si può quindi parlare in tali casi di ipotesi di bancarotta preterintenzionale, per sottolineare che il collegamento con l’evento è puramente causale, come lascia anche intendere la formula “per l’effetto di“, in cui il dolo è riferito alle sole operazioni che cagionano il dissesto e l’onere dell’Accusa resta assolto dalla dimostrazione della consapevolezza e volontà dell’amministratore della complessa azione recante pregiudizio patrimoniale e nel suo contrasto con i propri doveri.

A differenza poi della bancarotta patrimoniale – in cui la condotta distrattiva (o dissipativa) deve consistere in una diminuzione del patrimonio sociale, a prescindere dalla circostanza che abbia determinato il fallimento, che è sufficiente intervenga – nella bancarotta impropria cagionata da operazioni dolose, le condotte dolose, che non necessariamente costituiscono distrazione o dissipazione di attività, devono porsi in collegamento con il fallimento.

Ciò che rileva, ai fini della bancarotta fraudolenta impropria, non è, dunque, l’immediato depauperamento della società, bensì la creazione, o l’aggravamento, di una situazione di dissesto economico, che, prevedibilmente, poteva condurre, come poi ha condotto, al fallimento della società.

Alla luce di tali principi, nel caso in esame, secondo la Cassazione, la valutazione della Corte territoriale risultava quindi corretta, emergendo che la sistematica omissione del pagamento delle obbligazioni fiscali era il frutto di una consapevole scelta gestionale dell’imputato amministratore, attuata fin dal 2004 e protrattasi per gli anni successivi (fino a raggiungere un debito di quasi due milioni di euro nei confronti dell’Erario), con chiara sussistenza dell’elemento psicologico per il reato, ossia della coscienza e volontà delle operazioni da cui l’imputato poteva prevedere che potesse derivare il fallimento, anche in ragione dell’inevitabile carico sanzionatorio conseguente al mancato adempimento delle obbligazioni tributarie.

L’indirizzo della Corte è molto rilevante, potendo aprire ad un filone di contestazioni che valorizzi lo stretto rapporto tra evasione fiscale e reati fallimentari, anche considerato che, spesso, la società viene “portata” al fallimento proprio per evitare il pagamento dei debiti tributari, accumulati tramite omessi versamenti.

In tema di bancarotta fraudolenta fallimentare, le operazioni dolose possono dunque ben consistere anche nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, che metta in pericolo la “salute” economico-finanziaria dell’impresa, laddove, a mente dell’art. 2392 c.c., gli amministratori dovrebbero invece adempiere ai doveri imposti dalla legge, tra cui naturalmente anche il pagamento degli obblighi fiscali e tributari.

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