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venerdì 2 Maggio 2025
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Condono, evitare che in Parlamento vengano allargate maglie rottamazione cartelle

Spenti i riflettori sui provvedimenti del governo, i partiti che intendono lisciare il pelo per il verso degli evasori fiscali ricominciano a lavorare in Parlamento sui testi da approvare. Obiettivo: allargare le maglie più di quanto siano riusciti a fare nel confronto con l’esecutivo. È la prassi di una strategia consolidata, rimessa in scesa mille volte. L’ultima è di qualche ora fa. Lega, Forza Italia, Fdi, Italia Viva e una parte del M5s hanno presentato emendamenti a ripetizione per fare in modo che la cosiddetta rottamazione delle cartelle non si fermi al 2010, che valga anche per i contribuenti con un reddito superiore ai 30 mila euro l’anno, che valga per importi anche più importanti.
Ma, attenzione, questo è solo un pezzo di una strategia di lungo periodo che funziona a tenaglia. A monte e a valle. A monte, ogni volta che si discute di un provvedimento volto a recuperare l’evasione fiscale, che in Italia raggiunge cifre da record, calcolate da diversi istituti al di sopra dei cento miliardi di euro ogni anno, il lavorio delle forze politiche impegnate a favorire gli evasori
punta a rendere i provvedimenti farraginosi, a eliminare le parti più incisive, a inserire nei testi delle leggi passaggi che ne rendono difficile l’applicazione. Bastano pochi esempi per dimostrare quanto questi interventi siano efficaci. Uno recente: l’introduzione della fatturazione elettronica ha destato molte speranze, ma il modo, i limiti, i contorcimenti imposti durante l’iter legislativo hanno reso
questa misura meno efficace di quanto avrebbe potuto essere. Lo split payment e il reverse charge, introdotti quasi in contemporanea con la fatturazione elettronica, per fortuna non sono stati frenati, e infatti ogni volta partono attacchi e riflessioni pensose sulla legittimità di questi strumenti così incisivi.

È così da molto tempo. La creazione di un istituto pubblico di riscossione fu pensato per migliorare l’incasso delle imposte, prima affidato a privati cittadini e a banche. L’idea era positiva. La realizzazione (avviata da un governo Berlusconi) fu pessima. In realtà lo Stato si accollò tutto il personale delle banche che fino ad allora avevano svolto le stesse operazioni, facendo un favore agli
istituti di credito, ma non risolvendo affatto il problema della riscossione, anzi ingarbugliandolo: un guazzabuglio del quale ancora oggi paghiamo l’eredità. Altro piccolo ma significativo esempio. Durante il secondo governo Prodi, su suggerimento di Vincenzo Visco, si introdussero penalizzazioni effettive e concrete per i dettaglianti scoperti a non rilasciare lo scontrino per almeno tre volte. Alle prime multe si alzò un coro di proteste (Visco fu raffigurato conte il conte Dracula) e, alla prima occasione, in Parlamento fu modificata la norma: gli scontrini non rilasciati per far scattare la penalità divennero quattro, ma soprattutto dovevano essere
quattro scontrini non rilasciati in giorni diversi. La forma restava così apparentemente salva, ma nella pratica cambiò tutto. Prima per beccare un evasore bastava l’appostamento di un giorno e la constatazione di tre scontrini non rilasciati. Dopo per beccare un evasore ci voleva un appostamento di diversi giorni. Come dire: meno finanzieri da impiegare per colpire l’evasione al dettaglio.
Fin qui, l’intervento a monte. Ma poi c’è quello a valle. Ci sono gli evasori che sono stati già scoperti o che rischiano di esserlo pesantemente. E allora ecco scattare il colpo di spugna. Condono edilizio e fiscale pesantissimi entrambi (2003, governo Berlusconi), scudo fiscale 2009 (altro governo Berlusconi). Una manna: 5 per cento a titolo di imposta, sanzione, interessi e non
perseguibilità per i reati (fino a 6 anni di reclusione) commessi per portare i soldi all’estero: omessa e infedele dichiarazione dei redditi; dichiarazione fraudolenta mediante fatture false per operazioni inesistenti; falsa rappresentazione di scritture contabili obbligatorie; occultamento o distruzione di documenti; false comunicazioni sociali, cioè falso in bilancio.

Non bastava? Macché, riaperto più volte. Come pure la Voluntary disclosure, altro nome dello scudo fiscale per i soldi portati all’estero per nasconderli al fisco, varato nel 2015 (governo Renzi): era meno attraente per gli evasori, dato che in questo caso fu previsto il pagamento delle imposte per intero negli ultimi cinque anni, ma fu riaperto. Tanto per avere un’idea: lo scudo fiscale del
2009 sanava l’evasione fino al 2008. Quello del 2015 fu esteso alla fine fino ai redditi evasi nel 2016. Poi, rottamazione delle cartelle, altro nome per i condoni, rateizzazione, fino all’ultimo intervento: pace fiscale, un altro condono, come ha significativamente riconosciuto il presidente del Consiglio Mario Draghi. Ma non basta ancora. E, come sempre avviene, si può stare certi: qualche maglia in Parlamento verrà allargata ancora.
Il punto è sempre lo stesso: fino a quando l’Italia non diventerà un paese in cui evadere le imposte è un reato non solo economico e, in alcuni casi, penale, ma anche un peccato socialmente detestabile, non diventeremo un paese normale. Non importa che Corte dei Conti, Banca d’Italia e Ufficio parlamentare di bilancio abbiano espresso critiche all’ultimo provvedimento e ai condoni fiscali in
genere. Importa che finalmente si capisca che chi non paga le imposte toglie fondi alla sanità, alla scuola, ai trasporti, agli asili nido. Non è un caso se le forze politiche che spesso fanno a gara ad aiutare gli evasori siano poi le stesse che, quando hanno governato, hanno favorito per esempio la sanità privata (Lombardia docet). Purtroppo, anche alcuni pezzi della sinistra talvolta si sono lasciati sedurre.

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