La tax compliance non funziona. Finora è mancata una strategia per fqvorire l’adesione spontanea all’obbligo fiscale. La Corte dei Conti in una approfondita analisi sugli effetti prodotti dall’azione di controllo fiscale evidenzia le criticità del sistema.
Dall’analisi dei dati, rileva la magistratura contabile emerge “la limitata influenza che l’attività di controllo esercita sui comportamenti successivi dei contribuenti esaminati”. Perciò occorre mettere a punto “una diversa strategia di contrasto dell’evasione”. Un cambio di passo dunque che dovrà , per la Corte dei Conti, avvalersi essenzialmente “della fatturazione elettronica” ma anche , in chiave persuasiva e conoscitiva, dell’introduzione dell’obbligo “di pagamento tracciato e di comunicazione telematica dei corrispettivi”. All’attuale situazione ha contribuito anche “l’affievolimento del sistema sanzionatorio e il mancato potenziamento operativo dell’apparato di controllo”. Basti pensare che un’impresa di piccole dimensioni rischia di subire un controllo da parte del fisco una volta ogni 33 anni. Per la Corte dei Conti occorre dunque un’ evoluzione del sistema e sopratutto un diverso ruolo dell’amministrazione fiscale, “non più solo orientata ad un’azione repressiva e reattiva, ma anche fortemente impegnata a indurre comportamenti coerenti nella fase dell’adempimento”.
La frequenza dei controlli e l’evasione. Il 94% delle volte, una grande azienda che dichiara al Fisco la propria posizione riceverà un accertamento fiscale; nel 25% dei casi, se l’azienda è di medie dimensioni. Se, però, a dichiarare sono piccole imprese o autonomi (che da soli rappresentano il 96% di contribuenti indipendenti), la possibilità che l’erario bussi alla loro porta crolla al 3%, in pratica un controllo fiscale ogni trentatré anni. In sostanza, evadere senza il rischio di essere “scoperti” è quasi una certezza. La correttezza fiscale, rileva la Corte, “sembra affidata più alla lealtà del singolo contribuente che ad un organico sistema di regole”. I magistrati contabili puntano il dito contro il sistema fiscale italiano: inefficiente negli strumenti sanzionatori e di controllo, ondivago e contraddittorio nelle strategie di contrasto all’evasione. E i risultati lo certificano: in termini di evasione Iva l’Italia è al primo posto in Europa, sia in termini assoluti (36,1 miliardi contro i 32,2 della Francia e i 26,9 della Germania), che in rapporto al Pil (2,3%, seguito dall’1,6% francese e l’1,1% del Regno Unito). Se poi all’imposta sul valore aggiunto si uniscono Ires, Irpef, Irap e contributi, l’ammontare dei tributi evasi ogni anno ammonta a circa 120 miliardi di euro.
I limiti del sistema fiscale. Ed è proprio tra piccole imprese e professionisti che si annidano le pratiche evasive più numerose, dall’occultamento dei ricavi alla deduzione di costi inesistenti o dei consumi privati. Paradossalmente, però, è la fetta di contribuenti meno controllata: su 5,9 milioni di attività che hanno dichiarato nel 2012 un fatturato inferiore a 5 milioni di euro, solo 167mila hanno ricevuto un accertamento, poco più del 3%. In sintesi, un’impresa o un lavoratore autonomo possono autodeterminare liberamente la propria condotta fiscale, a differenza di dipendenti e pensionati, che al contrario hanno poche possibilità di sottrarre base imponibile al controllo delle amministrazioni. E non è un caso che il maggior controllo si traduca in maggiore fedeltà fiscale: nel 2013 oltre il 79% del gettito Irpef è costituito dalle ritenute dei sostituti d’imposta sui redditi da lavoro dipendente e di pensione. La disparità di trattamento fra contribuenti dipendenti e indipendenti rappresenta, secondo la Corte, il risultato di una strategia tributaria originariamente errata, basata sullo strumento delle scritture contabili che sin dalla sua introduzione (con la riforma del 1971-73) aveva mostrato limiti evidenti nell’incentivazione della tax compliance. Problema che poteva essere risolto potenziando l’apparato di controllo e l’impianto sanzionatorio, e che invece è stato continuamente rinviato (o maldestramente appianato) a suon di condoni fiscali e sanatorie (80, dall’Unità d’Italia ad oggi).
I limiti degli strumenti. Tra le debolezze del sistema, c’è poi il mal utilizzo, da parte dell’amministrazione fiscale, degli strumenti tecnologici a disposizione. Le ricevute e gli scontrini fiscali, pur essendo potenzialmente efficaci, non consentono l’emersione dei ricavi non contabilizzati senza un controllo sistematico dei dati. Discorso simile vale anche per l’anagrafe dei rapporti finanziari, che pur essendo diventato un database ricco di informazioni, raramente viene utilizzato per indagini e accertamenti fiscali. Sul tema del tracciamento dei pagamenti, invece, la legislazione dei governi è stata spesso controversa e confusionaria. Emblematico, in questo senso, l’obbligo di pagamento tracciato: fissato inizialmente per le transazioni superiori 12.500 euro, venne ridotto a 1.000, in seguito innalzato a 12.500, abbassato nel 2010 a 5.000 e a 2.500 nel 2011, per poi essere riportato a mille euro nel 2012. Stessa illogicità anche nel tracciamento dei pagamenti per le prestazioni professionali superiori a 100 euro, introdotto nel 2006 e abrogato appena due anni dopo. Altra strategia per l’emersione del nero, sebbene solo parzialmente risolutiva, è quella del contrasto di interessi: ad oggi, infatti, il consumatore-contribuente è incentivato a non richiedere la fattura per via del differenziale tra l’aliquota Iva (al 22%) e la detrazione Irpef (al 18,03%).
Sanzioni amministrative. Uno dei punti di maggiore debolezza dell’impianto italiano risiede, secondo i magistrati, nell’entità delle sanzioni amministrative, che nel corso dei decenni si è “progressivamente attenuata fino a toccare il massimo della tenuità nel 2008-2009”. L’impianto che si è andato a formare nel corso delle varie legislature ha accentuato l’asimmetria fra i contribuenti indipendenti e dipendenti: in particolare i primi, grazie ai ripetuti scudi fiscali per il rientro dei capitali e i condoni in materia di imposta sui redditi e Iva evase, hanno potuto beneficiare di sconti (pari al 50% della sanzione) avviando procedimenti di adesione.
Repressione penale. Non bastassero le sanzioni irrisorie, la Corte pone anche il problema della procedura penale, lenta e inefficiente. Tempi di prescrizione rapidi, lentezze burocratiche, sopravvenute sanatorie, facilità nell’accesso al patteggiamento: sono tutti fattori che, fino ad oggi, hanno scoraggiato l’azione penale e, viceversa, consentito all’evasore di farla franca.
Le difficoltà di riscossione. A queste problematiche se ne aggiunge anche un’altra: la difficoltà degli uffici fiscali di riscuotere coattivamente i tributi dovuti. Ciò è dovuto principalmente a tre fattori. In primis l’illiquidità delle imprese a causa dalla crisi economica, che ha portato queste ultime a finanziarsi attraverso il mancato pagamento di tasse e contributi. In secondo luogo la rateizzazione delle imposte dovute “erga omnes”, senza cioè una effettiva valutazione della capacità del contribuente di far fronte alla spesa: secondo i dati di Equitalia, le dilazioni di pagamento hanno raggiunto nel 2013 i 27,3 miliardi di euro, ed è lecito presumere, come fa la Corte, che larga parte di quest’importo non verrà mai riscosso. In terzo luogo l’abbassamento, deciso dal legislatore, dei limiti di impignorabilità (un decimo per le imposte fino a 2.500 euro) e l’innalzamento a ventimila euro per l’ipoteca.
Le soluzioni proposte dalla Corte. Per i magistrati contabili, il sistema fiscale necessita di una riforma organica e coerente. Va in questa direzione il c.d. “730 precompilato” appena licenziato dal Parlamento, ma non basta. Per la corte il riassetto tributario deve partire da un più moderno uso delle tecnologie informatiche, incentivando i sistemi tracciati come Pos e carte di credito, collegando telematicamente i registratori di cassa e riducendo gli adempimenti amministrativi, che spesse volte hanno costi superiori agli stessi tributi. Indispensabile, poi, un cambio di marcia dell’amministrazione fiscale: non più soggetto passivo durante l’adempimento e repressivo in fase di accertamento, ma collaborativo con il contribuente. Così come è necessaria una revisione tecnica dell’Iva, estendendo il meccanismo di “Reverse charge” e affidando l’obbligo del versamento al contribuente più fedele.
Antonio Biondi