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mercoledì 18 Giugno 2025
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Decreto fiscale: le nuove forme di contrasto patrimoniale dell’evasione

di Fabio Di Vizio – Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze

A quattro anni di distanza dal D.Lgs. n. 158/2015, il legislatore torna ad occuparsi del diritto penale tributario, progettando con il D.L. n. 124/2019 una riforma di ampio respiro che apre anche a scelte innovative. In realtà, nonostante di tratti di novella ad efficacia differita, si delineano alcune direttrici fondamentali: (i) l’innalzamento delle pene edittali, minime e massime, della più parte delle fattispecie penali tributarie, accompagnate dall’enucleazione di alcune ipotesi circostanziali attenuate; (ii) l’abbassamento delle soglie di rilevanza penale dell’imposta evasa o degli elementi attivi sottratti all’imposizione, per specifici delitti tributari; (iii) nel contesto del contrasto dell’illecita somministrazione di manodopera ed in ragione dell’estensione del reverse charge nel versamento delle ritenute, l’enucleazione di una nuova fattispecie penale nei confronti dei committenti di un’opera o di un servizio ad un’impresa; (iv) l’estensione della confisca allargata prevista dall’art. 240 bis c.p. a specifiche figure di reati tributari, ulteriormente delimitate in seno al nuovo art. 12 ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74; (v) l’innesto del delitto previsto dall’art 2 D.Lgs. n. 74/2000 nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato. Nel seguente contributo verranno analizzati i primi due punti.D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 in GU n. 252 del 26-10-2019

Le premesse della riforma

A distanza di quattro anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015 n. 158, il legislatore torna ad occuparsi del diritto penale tributario, progettando una riforma di ampio respiro che si propone di percorrere strade innovative. In realtà, quella del Decreto legge 26 ottobre 2019 n. 124 costituisce una novella “urgente ad efficacia differita”, annunciata come un mutamento di impostazione nel contesto dell’evasione fiscale ma congegnata in modo da non avere effetti sino alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della legge di conversione (art. 39, comma 3, D.L. n. 124/2019). Ad ogni modo, se manterrà l’impostazione attuale evincibile dal D.L. n. 124/2019, appare indiscutibile che tale riforma rappresenterebbe una svolta epocale nell’impostazione repressiva del settore tributario, contribuendo ad accrescerne la centralità in seno al diritto penale dell’economia.

Cinque le direttrici fondamentali che consentono di ricostruire l’intelaiatura dell’intervento: (i) l’innalzamento delle pene edittali, minime e massime, della più parte delle fattispecie penali tributarie, anche quelle a struttura non fraudolenta, accompagnato, in alcune evenienze, dall’enucleazione di ipotesi circostanziali attenuate; (ii) l’abbassamento delle soglie di rilevanza penale dell’imposta evasa o dell’imponibile sottratto all’imposizione, per specifici delitti tributari; (iii) l’enucleazione di una nuova fattispecie penale collegata all’estensione del reverse charge ai fini del versamento delle ritenute per contrastare le pratiche di illecita somministrazione di manodopera (art. 4 D.L. n. 124/2019, con innesto del D.Lgs. 9 luglio 1997, n 241, di un nuovo delitto, descritto dall’art. 17 bis, comma 17, in vigore dell’1.1.2020); (iv) l’estensione della misura patrimoniale della confisca allargata, prevista dall’art. 240 bis c.p., a specifiche figure di reati tributari, delimitate secondo gli elementi di ulteriore specificazione indicati dal nuovo art. 12 ter D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (art. 39, lett. q, D.L n. 124/2019); (v) l’innesto del delitto previsto dall’art 2 D.Lgs. n. 74/2000 nel catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato (nuovo art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231).

All’esito di tali innovazioni dovrebbe corrispondere un quadro generale di maggior severità della risposta repressiva, non solo verso i reati a struttura fraudolenta (artt. 2 e 3 D.Lgs. n. 74/2000) ma anche per quelli di infedeltà o di omissione dichiarativa, che vedono innalzate le pene edittali, nel minimo, oltre che nel massimo; inoltre, in talune evenienze tornano a condizione di maggior rigore anche i delitti di omesso versamento delle imposte dichiarate, in ragione dell’abbassamento delle soglie di punibilità dell’imposta evasa. Ne corrisponde un potenziamento degli strumenti investigativi e cautelari, specie quella di natura reali, volte a contrastare la criminalità da profitto tributario, raccogliendo auspici formulati a livello eurounitario ed in sede giurisprudenziale.

I reati riformati: la frode fiscale ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000

Se la riforma del 2015 aveva “responsabilizzato” la fattispecie delineata dall’art. 3 del D.Lgs. n. 74/2000 rendendola centrale nel contrasto dell’evasione più insidiosa, ora la fattispecie penale prevista dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 pare essere stata eletta come il delitto con il quale erigere l’ostacolo più deciso al fraudolento nascondimento di basi imponibili. Lo dimostra l’inserimento riservato a tale fattispecie (v. infra) — unico nel contesto dei reati tributari — nel catalogo dei reati fonte della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001; lo conferma, ancora, l’assoluto primato della severità nella risposta sanzionatoria ora apprestata per essa, che giunge ad oltrepassare quella della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 D.Lgs. n. 74/200), alla quale sinora era appaiata.

Per il delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, infatti, la penapassa a quattro anni nel minimo ed otto anni nel massimo, accrescendosi in maniera consistente rispetto a quella originaria, oscillante da un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni. Sembra di dover riconoscere che l’aumento nel minimo mira a contrastare la non inconsueta esperienza giudiziale propensa a commisurare la sanzione finale muovendo da una pena base prossima ai minimi edittali.

Alla già acquisita capacità di legittimare lo strumento delle intercettazioni ex art. 266, comma 1, lett. a c.p.p. oltre che le misure cautelari coercitive più severe (ex artt. 273, 274, 278, 280 c.p.p.) si aggiunge quella di avallare il fermo, al ricorrere degli altri presupposti previsti dall’art. 384 c.p.p.; misura pre-cautelare provvista, nel caso del delitto in esame, di maggior spazio di potenziale operatività rispetto all’arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 381, comma 1, c.p.p.), considerato che il momento consumativo del delitto si identifica con la dichiarazione. A tal fine, infatti, non è sufficiente registrare fatture o altri documenti per operazioni inesistenti nelle scritture contabili obbligatorie, ovvero detenerli a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Tali comportamenti, che integrano il concetto normativo di avvalimento della documentazione falsa, rilevano nella misura in cui la stessa venga concretamente posta a corredo dell’indicazione nella dichiarazione di elementi passivi fittizi. Per il disposto dell’art. 6 D.Lgs. n. 74/2000, infatti, in difetto di dichiarazione, gli atti prodromici all’evasione non sono punibili (la penale irrilevanza dei comportamenti prodromici, cfr. Cass. Pen., Sez. III, n. 52752/2014). Nella riflessione giurisprudenziale, si è posta, piuttosto, la questione del rilievo penale dell’utilizzazione dei documenti successiva alla dichiarazione, come può verificarsi allorché l’autore decida di predisporre la documentazione mendace nel corso di una verifica tributaria. Se il contegno è connotato da fraudolenza non meno intensa di quella che accompagna la condotta di pregressa registrazione e detenzione in prospettiva antagonista di un ipotetico controllo, unanime è l’opinione giurisprudenziale per cui il delitto di frode fiscale ha natura istantanea e si consuma al momento della dichiarazione, cosicché entro la data di presentazione di quest’ultima deve realizzarsi la presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. L’utilizzazione dei documenti falsi, dunque, per rendere fraudolenta la dichiarazione, in sé infedele, deve precederla e non seguirla. Sembra questa l’unica lettura compatibile con il dato letterale, salva l’integrazione della diversa fattispecie penale ex art. 11, legge n. 214/2011 (informazioni e documentazioni false). Inoltre, se la dichiarazione è unica, unico è il reato commesso pur se i documenti utilizzati sono plurimi o abbiano diversi destinatari (Cass. Pen., Sez. III, n. 626/2009). D’altro canto, se il reato si perfeziona nel momento in cui la dichiarazione è presentata agli uffici finanziari, è anche vero che prescinde dal verificarsi dell’evento di danno, non assumendo rilievo l’effettività dell’evasione, né dispiegando alcuna influenza l’accertamento della frode (Cass. Pen., Sez. III, n. 16459/2017; Cass. Pen., n. 25808/2016), trattandosi di reato di pericolo e di mera condotta.

Tornando alla novella in diretto commento, la sanzione originaria prevista per il delitto di frode fiscale ex art. 2 cit. è conservata per una particolare configurazione della nuova fattispecie di cui si immagina l’introduzione, con innesto di un comma 2 bis nell’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000, per il caso in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a centomila euro.

È agevole pronosticare che l’accresciuta severità sanzionatoria acuirà i contrasti interpretativi che hanno sin qui accompagnato la fattispecie penale, che, nel tempo, ha guadagnato progressivamente spazi applicativi rispetto alle figure di reato limitrofe. Si pensi, sotto tal ultimo aspetto, all’orientamento favorevole alle configurabilità del delitto ex art. 2 cit. a discapito del delitto ex art. 3 D.Lgs. n. 74/2000 in caso di utilizzo di fatture materialmente false (da ultimo cfr. Cass., Sez. III, n. 6360/2019). Si considerino, ancora, le posizioni giurisprudenziali favorevoli alla configurazione del concorso materiale con il delitto previsto dall’art. 8 D.Lgs. n. 74/2000 nel caso di utilizzo di fatture autoprodotte dall’utilizzatore, con esclusione dell’applicabilità dell’art. 9 D.Lgs. n. 74/2000 in caso di imprenditore cd. “self made”, ove ricorre identità soggettiva tra emittente materiale ed utilizzatore materiale (Cass. Pen., Sez., III, 21 maggio 2012, n. 19247; Cass. Pen. n. 5434/2017) così come quando l’amministratore della società che ha emesso le fatture per operazioni inesistenti coincida con il legale rappresentante della diversa società che le abbia successivamente utilizzate (Cass. Pen., Sez., III, n. 19025/2013).

Sia pure in via sommaria, tra i principali temi del dissidio pare annoverabile, anzitutto, la ricomprensione dell’inesistenza giuridica entro la nozione di operazione oggettivamente inesistente (a favore, la prevalente giurisprudenza di legittimità, sia pure con distinguo, a partire da Cass. Pen., Sez. III, n. 13975/2008; nello stesso senso, cfr. Cass. Pen., 10 ottobre 2002, n. 38199; Cass. Pen., 21 gennaio 2004, n. 5804; Cass. Pen., 15 gennaio 2008, n. 1996; Cass. Pen., 7 ottobre 2010, n. 45056; Cass. Pen., 8 luglio 2010, n. 26138; Cass. Pen, III, n. 38754/2012.; Cass. Pen., n. 24540/2013; Cass. Pen., Sez. VI, n. 52321/2016 che ha specificato di condividere il principio «almeno quando l’operazione dissimulata è sottoposta ad un trattamento fiscale diverso da quello riservato all’operazione formalmente documentata»; cfr. anche Cass. Pen., 21996/2018; in dottrina ammette la tipicità Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano 2000, 174; Ambrosetti, Art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in Codice penale ipertestuale. Leggi complementari, a cura di Ronco, Ardizzone, Torino 2007, 202; in senso contrario Imperato, Art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in Falsitta, Fantozzi, Marongiu, Moschetti, Commentario breve alle leggi tributarie, Padova 2011, 537, nonché la dottrina che ritiene che a seguito del D.Lgs. n. 158/2015 l’unica forma di inesistenza giuridica di rilievo penale—tributario sarebbe la simulazione, oggettiva o soggettiva, condotta integrativa del delitto previsto dall’art. 3 D.Lgs. n. 74/2000, confinando la fittizietà delineata dalla frode fiscale ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 all’interno della sola inesistenza materiale).

Se per costi incongrui effettivamente sostenuti per un’operazione realmente effettuata la giurisprudenza di legittimità non ha messo in dubbio l’opinione contraria alla loro riconducibilità nel concetto di elementi passivi fittizi (Cass. Pen., Sez.III, n. 1996/2008), con riferimento alla ricomprensione in tale nozione dei costi non inerenti l’approdo prevalente è favorevole ad ammetterla. I costi “riconducibili” a condotte criminose, quand’anche non direttamente usati per la loro consumazione, rilevano ai fini della fattispecie penale dell’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 in quanto contrastanti con i principi di inerenza, testimoniando una destinazione extra imprenditoriale. Tale carenza di inerenza, in definitiva, per mancanza di attinenza rispetto al conseguimento del reddito imponibile, rende tali costi fiscalmente indeducibili e attribuisce loro il connotato di costi fittizi richiesto dalla fattispecie penale in esame. Sostanzialmente unanime la giurisprudenza della Cassazione nel ritenere irrilevante ai fini della fattispecie penale in analisi l’art. 8 del D.L. 16/2012, conv. in Legge n. 44 del 2012, che, modificando l’art. 14, comma 4- bis, L. n. 537 del 1993, ha fissato un regime della deducibilità dei costi applicabile alle sole procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, privo di incidenza sulle condotte di dichiarazione fraudolenta punite dall’art.2 D.Lgs. n. 74 del 2000 (cfr. Cass. Pen., Sez. III, n. 46194 del 24/04/2013; Cass. Pen., n. 22108/2015; Cass. Pen., n. 316287/2015; Cass. Pen. n. 42994/2015; Cass. Pen. n. 53637/2018; Cass. Pen., 7063/2019). Per tale impostazione i costi documentati in fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non possono essere dedotti ai fini delle imposte dirette dal committente/cessionario, che consapevolmente li abbia sostenuti, in quanto espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, che preclude l’irrinunciabile inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale. Perciò la consapevolezza da parte del contribuente di partecipare ad un sistema sofisticato di frode fiscale (si pensi alle frodi carosello) comporta tuttora l’indeducibilità di qualsiasi componente negativo (costi o spese) riconducibile a fatti, atti o attività qualificabili come reato, per violazione del principio di inerenza, laddove la mancanza di tale consapevolezza (ex art. 14, comma 4-bis, cit.) comporta la deducibilità del costo, salvo che i componenti negativi del reddito siano comunque relativi a beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività, che configurino condotte delittuose non colpose (cfr. Cass. Pen., Sez.III, n. 31628/2015; Cass. Pen. 22108/2015). Muovendo da tali approdi la Cassazione ha ribadito che «in tema di reati tributari, la regola della indeducibilità dei componenti negativi del reddito relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi (prevista dall’art. 14, comma 4-bis, l. n. 537 del 1993, come modificato dall’art. 8 del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in l. n. 44 del 2012), trova applicazione anche per i costi esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi nell’ambito di una frode c.d. carosello, trattandosi di costi comunque riconducibili ad una condotta criminosa» (Cass. Pen., Sez. III, n. 42994/2015). I principi affermati dalla Corte paiono di persistente attualità rispetto al delitto ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, rispetto al quale la nozione di elementi passivi fittizi resta presente nel tessuto lessicale ed ancorata ad un’impostazione nella quale assume rilevanza penale l’indeducibilità o la non inerenza di costi effettivamente sostenuti, diversamente da quanto previsto per il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4, comma 1 e 1 bis, D.Lgs. n. 74/2000. A fronte di questo orientamento, però, nella giurisprudenza penale di legittimità risultano anche decisioni che precisano che il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’IVA, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (per questo indirizzo (Cass. Pen., Sez. III, n. 6935/2018; Cass. Pen., n. 53146/2017; Cass. Pen., n. 2643/2016; Cass. Pen., n. 47471/2013; Cass. Pen., n. 10394/2010).

Il dolo specifico che connota la fattispecie sembra contrastare l’operatività di quello eventuale, richiedendo che la condotta tipica sia tenuta al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto. In realtà, in punto di dolo tipico del delitto ex art. 2, D.Lgs. n. 74/2000, la Cassazione ha in passato chiarito che «il dolo specifico costituito dal fine di evadere le imposte, […], sussiste anche quando ad esso si affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non perseguita dall’agente in via esclusiva» (Cass. Pen., Sez. III, n. 27112/2015; Cass. Pen., 42520/2019). Quando lo specifico dolo di evasione della condotta tipica si coniuga con una distinta e autonoma finalità extra-tributaria, sempre che quest’ultima non sia perseguita dall’agente in via esclusiva, non pare dubitabile la compatibilità del dolo specifico di evasione fiscale con una concorrente finalità extra-evasiva (come l’esigenza di procurarsi, attraverso le false fatturazioni, riserve occulte per pagare in nero le retribuzioni dei dipendenti). In ogni caso, il contrasto interpretativo sul punto appare destinato ad aggravarsi in ragione delle severe conseguenze sanzionatorie connesse all’ammissione o all’esclusione della compatibilità del dolo evasivo con finalità di diversa natura.

L’introduzione dell’ipotesi prevista dall’art. 2 comma 2–bis («Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni») rinvigorirà la disputa qualificatoria sulla natura della previsione della fattispecie punita meno severamente. In passato la contrapposizione era stata risolta dalla Corte di Cassazione rispetto alla fattispecie descritta dall’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 74/2000 («se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a € 154.937,07 si applica la reclusione da sei mesi a due anni», abrogata dall’art. 2, comma 36 vicies semel, lett. a) del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 convertito con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148). I giudici di legittimità avevano in prevalenza rigettato la prospettazione della previsione quale fattispecie autonoma, preferendole quella di circostanza attenuante (cfr. Cass. Pen., Sez. III, n. 25204/2008; Cass. Pen., n. 20529/2011; Cass. Pen. n. 5720/2016; contra Cass. Pen., Sez. III, n. 23064/2008). La questione non è affatto di secondario rilievo, sol che si consideri che ove dovesse essere confermata tale opzione, nel bilanciamento ex art. 69 c.p. con ulteriori aggravanti (si consideri quella prevista dall’art. 13 bis, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000) o con la recidiva ne deriverebbero esiti sanzionatori assai differenti. Con ancoraggio della pena base, in caso di equivalenza o di soccombenza dell’attenuante, alla severa pena base prevista dal primo comma dell’art. 2 cit.

Il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8 D.Lgs. n. 74/2000

Specularmente alle innovazioni che si immagina di introdurre rispetto al delitto previsto dall’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, il delitto previsto dall’art. 8 D.Lgs. n. 74/2000 vede accrescere il rigore sanzionatorio (art. 39, comma 1, lett. l, D.L. n. 124/2019) che eguaglia quella del primo reato (da quattro a otto anni), muovendo dalla stessa pena originaria (da un anno e sei mesi a sei anni). Si richiama in proposito quanto osservato sulla positiva integrazione delle soglie edittali per autorizzare le intercettazioni, per emettere misure cautelari personali coercitive (acquisizione già riferibile al reato), nonché per adottare il fermo o l’arresto in flagranza, misura precautelare che nel caso del delitto in esame ha maggiori spazi di praticabilità.

Si tratta, infatti, di reato di mera condotta (commissiva) ed istantaneo (dovendosi ritenere superato il diverso orientamento che assumeva la natura permanente del reato ex art. 4, lett. d) d.l. n. 429/1982, sul presupposto dell’obbligo di conservazione in contabilità del documento mendace; cfr. Cass. Pen., Sez. unite, 3.2.1995, in Boll.trib., 1995, 632). In particolare, ove unico sia il documento falso, il delitto si consuma con la sua emissione ed il suo rilascio, mentre ove nel medesimo periodo di imposta plurimi siano gli episodi, la consumazione si verifica con l’emissione dell’ultimo di essi (Cass. Pen., Sez. III, n. 6264/2010; Cass. Pen., 20787/2002; Cass. Pen., 25816/2016). Onde, è da tale conclusivo momento che decorre il termine di prescrizione (Cass. Pen., Sez. III, n. 10558/2013; Cass. Pen., n. 31268/2017), quale reato eventualmente abituale in relazione a ciascun periodo di imposta. Il delitto, dunque, si consuma con l’emissione o il rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ed ha veste di reato di pericolo astratto, per la cui configurabilità è sufficiente il compimento dell’atto tipico (Cass. Pen., III, n. 25816/2016; Cass. Pen., n. 40172/2006; Cass. Pen., n. 12719/2007; Cass. Pen., 44449/2015). Più esattamente, il reato si consuma nel momento in cui l’emittente perde la disponibilità della fattura, non essendo richiesto che il documento pervenga al destinatario, né che quest’ultimo lo utilizzi (Cass. Pen., Sez. III, n. 25816/2016; Cass. Pen., n. 26395/2004). In base all’art. 21, comma 1, ult. periodo, D.p.r. n. 633/1972 «la fattura, cartacea o elettronica, si ha per emessa all’atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente». Non è sufficiente, per contro, la mera predisposizione delle fatture ideologicamente false non seguita dalla consegna (o, si ritiene, dalle condotte equiparate di spedizione, trasmissione o messa a disposizione) ai soggetti che potrebbero beneficarne (Cass. Pen., Sez. III, n. 50628/2014). Se in termini naturalistici non può escludersi l’evenienza che formato un documento, lo stesso non sia messo a disposizione del potenziale utilizzatore (ad esempio per l’inatteso intervento di una verifica tributaria o di un controllo di polizia) e sebbene non sussista una divieto normativo assimilabile a quello previsto dall’articolo 6 D.Lgs. n. 74/2000, deve riconoscersi che è la natura stessa del reato in esame (di pericolo astratto) a precludere la configurabilità dello stesso a titolo di tentativo; in linea, occorre aggiungere, con l’ispirazione fondamentale della riforma del 2000 di deciso abbandono del reato prodromico.

L’art. 39, comma 1, lett. m), D.L. n. 124/2019 prevede un’ipotesi punita meno severamente attenuata laddove l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, sia inferiore a euro centomila, evenienza in cui si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Anche questa evenienza pare integrare una figura di natura circostanziale (nuovo art. 8, comma 2 bis, D.Lgs. n. 74/2000) , che replica la previsione (in tal senso Cass. Pen., Sez. III, n. 5720 del 07/01/2016 Cc., dep. 11/02/2016 Rv. 265948; contra Cass. Pen., Sez. III. n. 23064 del 06/03/2008 Ud., dep. 10/06/2008, Rv. 239919) già prevista dall’art. 8, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 (anteriormente all’abrogazione del 2011).

Altri delitti per i quali è previsto l’inasprimento sanzionatorio: la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 D.Lgs. n. 74/2000, l’occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 e le omesse dichiarazioni ex art. 5, comma 1, e 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 74/2000

Per altri delitti la scelta “rigorista” si è espressa solo nell’incremento dei minimi edittali e nei massimi edittali, senza essere compensata dall’introduzione di ipotesi circostanziali, anche in considerazione della previsione – almeno per alcuni di essi – di soglie di punibilità nella struttura tipica.

E’ il caso del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 D.Lgs. n. 74/2000le cui pene edittali salgono da tre a otto anni, muovendo dai minori limiti originari oscillanti da un anno e sei mesi a sei. Risultano positivamente integrate le soglie edittali nel massimo per autorizzare le intercettazioni, per emettere misure cautelari personali coercitive, (acquisizioni di cui il reato era già provvisto), nonché per adottare l’arresto in flagranza e, ora, il fermo.

Si tratta di una fattispecie sulla quale molto aveva “investito” il legislatore della riforma del 2015, dilatandone i confini applicativi, attraverso una semplificazione della struttura dell’illecito penale, la cui condotta, da “trifasica”, era divenuta “bifasica”. In particolare, la riforma precedente ha eliminato la “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie” quale distinto ed imprescindibile elemento costitutivo della condotta. Ne è derivato anche l’ampliamento del novero dei potenziali autori del reato, ora realizzabile anche dai soggetti tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi ma non vincolati alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie. L’elemento soppresso può essere comunque ricondotto (diversamente dal passato) alla categoria dei “documenti falsi” che valgono ad integrare la condotta del reato in quanto «sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria» (cfr. art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000). In secondo luogo, prescindendo dalla necessaria interconnessione delle singole condotte, è stata introdotta una relazione alternativa tra le operazioni simulate (elemento nuovo), l’utilizzo di documenti falsi e gli altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria. Ciò testimonia l’equipollenza di tali elementi e dunque l’autosufficienza di ciascuno (“operazioni simulate”, o “documenti falsi”, o “altri mezzi fraudolenti”) ad integrare la condotta del delitto, in parte, rivedendo il precedente necessario collegamento. Caratteristica comune di tali equivalenti elementi è l’idoneità “ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria. Per chiarire il significato di alcuni elementi della fattispecie, sono state introdotte le definizioni normative delle “operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente” (art. 1, g-bis, D.Lgs. n. 74/2000, quali «operazioni apparenti, non integranti quelle disciplinate dall’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti») e dei “mezzi fraudolenti” (art. 1, g-ter, D.Lgs. n. 74/2000, quali «condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà»), a sua volta da coniugare con quella dell’articolo 3, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 («Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non costituiscono mezzi fraudolenti la sola violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali»).

Avendo quale riferimento le forme di evasione contrastate da tale delitto, la fattispecie penale ex art. 3 D.Lgs. n. 74/2000, dopo la riforma del 2015, si realizza quando, oltre all’indicazione, nella dichiarazione dei redditi o ai fini IVA, di elementi attivi inferiori a quelli effettivi o elementi passivi fittizi, alternativamente:

· sono compiute operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente (non inesistenti, né documentate da fatture o documenti di analogo rilievo probatorio, non integranti abuso del diritto);
· si utilizzino documenti falsi (è il caso della sostituzione dei documenti di vendita originariamente emessi, con altri contraffatti riportanti importi inferiori di ricavi inseriti in contabilità; nonché dei rogiti sottomanifestanti per il venditore; o, ancora, in caso di elementi passivi, delle falsificazioni non rappresentate da fatture o documenti di analogo rilievo probatorio, arg. ex art. 2 D.Lgs. n. 74/2000);
· si impieghino altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’Amministrazione finanziaria (si pensi alle condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà, diverse dalle omesse fatturazioni/annotazioni e sotto-fatturazioni/annotazioni di elementi attivi; oltre che, al ricorrere di specifiche condizioni, la tenuta di contabilità in nero, l’accensione e l’alimentazione di conti bancari fittiziamente intestati, l’interposizione fittizia di persone ed il ricorso a società di comodo).

Per l’occultamento o distruzione di documenti contabili ex art. 10 D.Lgs. n. 74/2000 la pena eguaglia quella del delitto ex art. 3 cit. raggiungendo le ragguardevoli soglie da tre a sette anni, con incremento significativo dei limiti edittali originari (da “un anno e sei mesi a sei”) Risultano integrate le soglie edittali per autorizzare le intercettazioni, per emettere misure cautelari personali coercitive (acquisizione già riferibile al reato), nonché per adottare il fermo o l’arresto in flagranza.

Sempre in base al D.L. n. 124/2019 in diretto commento, le pene dei reati di omessa dichiarazione dei redditi e dell’IVA (ex art. 5 comma 1, D.Lgs. n. 74/2000) e delle ritenute da parte del sostituto di imposta (art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. n. 74/2000) salgono nel minimo (da un anno e sei mesi) a due anni e nel massimo (da quattro anni) a sei anni. Si mantiene la maggior severità del delitto di omessa dichiarazione ex art. 5, comma 1 e 1 bis D.Lgs. n. 74/2000 rispetto a quello di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, mantenendo la soglia di irrilevanza penale dell’imposta evasa (pari a 50.000 euro), per ciascun imposta, maturata su base annuale. Il più elevato limite edittale massimo rende ora autorizzabili le intercettazioni, nonché legittima, al ricorrere delle ulteriori condizioni, l’emissione misure cautelari personali coercitive, nonché l’adozione dell’arresto facoltativo in flagranza. Anche se sotto questo profilo, andrà considerato il periodo ex art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000. Infatti, quanto ai delitti di omessa dichiarazione ex art. 5 cit. la giurisprudenza (Cass. Pen., Sez.III, n. 45578/2016; Cass. Pen., Sez.IV, n. 24691/2016; Cass. Pen., Sez. III, n. 17120/2016) si è consolidata nel ritenere che il termine di prescrizione decorre dal novantunesimo giorno successivo alla scadenza del termine ultimo stabilito dalla legge per la presentazione della dichiarazione e non dal giorno in cui l’accertamento del debito di imposta diviene definitivo.

L’innalzamento del massimo edittale comporta che anche per le fattispecie penali ex art. 5 cit. sarà necessaria la celebrazione dell’udienza preliminare a seguito della richiesta di rinvio a giudizio (arg. ex artt. 550, 416 c.p.p.) ma anche praticabile la richiesta di giudizio immediato ex art 453 c.p.p. in presenza degli ulteriori requisiti previsti da tale disposizione.

La dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000

La fattispecie penale è interessata da plurimi interventi riformatori. Da un lato, infatti, aumentano i limiti delle pene edittali: da quelli originali, oscillanti da “uno a tre” anni, viene raggiunta nel minimo la soglia di due anni e nel massimo quella di cinque anni (art. 39, comma 1, lett d, D.L. n. 124/2019). Si abbassa, inoltre, a centomila euro (dall’originario importo di centocinquantamila) la soglia dell’imposta evasa, su base annuale, di rilevanza penale per imposte dirette sui redditi e per l’IVA nonché la soglia degli elementi attivi sottratti all’imposizione di inevitabile rilevanza penale ex art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 74/2000,fissata ora due milioni di euro (da quella originaria di tre milioni di euro). Al sotto di quest’ultimo importo, resta ferma la necessitò che sia integrata la percentuale di rilevanza penale di almeno il 10 per cento tra elementi non dichiarati e quelli indicati in dichiarazione.

Infine, viene abrogato il comma 4 ter, dell’articolo 4 cit., disposizione che, fuori dei casi di cui al precedente comma 1-bis, escludeva l’integrazione di fatti punibili per le valutazioni che singolarmente considerate, differivano in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette, precisando altresì che degli importi compresi in tale percentuale non teneva conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b) dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000.

I nuovi limiti edittali non consentono le intercettazioni, ma permettono l’adozione di misure cautelari coercitive custodiali, oltre che, in linea teorica, l’arresto facoltativo in flagranza. Per il reato è ora prevista la celebrazione dell’udienza preliminare, incidendo sulla forma di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero (esigendo la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416 c.p.p. e non l’emissione del decreto di citazione a giudizio ex art. 550 c.p.p.) con praticabilità della richiesta di giudizio immediato ex art 453 c.p.p. , al ricorrere degli altri requisiti previsti da tale norma.

L’abrogazione del comma 1 ter dell’art. 4 del D.Lgs. n. 74/2000 segnala la riconsiderazione parziale di una scelta fondante della riforma del 2015. In quell’occasione sono state fissate una serie di regole per la definizione dell’imposta evasa e degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, di rilievo ai fini della fattispecie penale della dichiarazione infedele. A tal proposito, è stato stabilito che ai fini dell’integrazione delle soglie penali fissate dall’articolo 4 del D.Lgs. n. 74/2000 non rilevano i valori corrispondenti a non corrette classificazioni o valutazioni, secondo i parametri tributari, di elementi attivi e passivi oggettivamente esistenti, «rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali» (art. 4, comma 1 bis, prima parte, D.Lgs. n. 74/2000). Né possono considerarsi d’interesse penale gli elementi attivi sottratti all’imposizione per l’importo che consegue a violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, ovvero l’indicazione di elementi passivi non inerenti o non deducibili, secondo le regole tributarie (cfr. art. 109 TUIR), a condizione che essi siano reali (art. 4, comma 1 bis, seconda parte, D.Lgs. n. 74/2000). Oltre a queste regole, è stato stabilito che non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b) dell’articolo 4 citato (art. 4, comma 1 ter, D.Lgs. n. 74/2000).

Tale ultima previsione ha comportato l’irrilevanza penale di non corrette valutazioni di elementi attivi e passivi, anche in assenza di condizione di trasparenza, ove lo scostamento da quella corretta, per ciascuna di esse, sia di lieve entità (ovvero inferiore al 10 per cento), pur se, assommate ad altre di pari entità e contenuto, valgano a far raggiungere un importo, in cifra assoluta, eccedente i limiti quantitativi delle soglie di punibilità ex art. 4, comma 1, lettera a) e b) D.Lgs. n. 74/2000 (cfr. relazione illustrativa della riforma del 2015). Si tratta di una previsione che ha sollevato non rare perplessità. Infatti, l’organizzazione volontaria di una serie di scorrette valutazioni di importo percentuale singolarmente pure modesto, ove complessivamente considerate, quand’anche prive di qualsiasi trasparenza, potrebbe far raggiungere elevati importi assoluti di evasione fiscale, penalmente neutralizzati in forza della previsione ipotizzata; senza essere compensata da un onere di trasparenza, diversamente dalle valutazioni “dichiarate” previste dall’art. 4, comma 1 bis, D.Lgs. n. 74/2000. e, prima della riforma del 2015, dall’art. 7 del D.Lgs. n. 74/2000, norma che imponeva più precisa ed intensa condizione di trasparenza delle scorrette rilevazioni contabili e delle valutazioni, limitate a quelle estimative, richiedendo che esse si svolgessero secondo criteri di stima indicati nel bilancio.

Quanto alla forme di evasione contrastate dal delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, come ricorda la Corte di Cassazione (Cass. Pen. n. 30686/2017), è stato ridisegnato incentrando la condotta punibile su falsità ideologiche prive di qualsiasi connotato fraudolento. Tale condotta si materializza, alternativamente: (i) nella mancata indicazione in dichiarazione di componenti positive del reddito registrate per ammontare inferiore a quello reale, nelle diverse forme dell’omessa fatturazione e annotazione nelle scritture contabili o della sotto-fatturazione, ovvero all’indicazione in fattura di un importo inferiore a quello reale (arg. ex art. 3, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000); (ii) nell’indicazione nella dichiarazione di elementi passivi inesistenti (e non semplicemente fittizi), ossia di componenti negativi del reddito mai venuti ad esistenza in rerum natura, con conseguente indebita riduzione dell’imponibile; ulteriore requisito negativo, è che tali componenti negative inesistenti non siano documentate da fatture o altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, circostanza che importerebbe la configurabilità del diverso reato ex art. 2, D.Lgs. n. 74/2000.

Abbassamento delle soglie di punibilità per imposta evasa per i delitti di omesso versamento ex art. 10 bis e 10 ter D.Lgs. n. 74/2000

Per i reati di omesso versamento delle ritenute certificate e dell’IVA l’inasprimento è ricollegato all’abbassamento degli importi complessivi di imposta annuale dovuta e non versata di rilievo penale; per le ritenute la soglia scende da euro centocinquantamila a centomila euro, per l’IVA flette da euro duecentocinquantamila a centocinquantamila euro.

Secondo il condivisibile orientamento della Corte di Cassazione, la soglia di punibilità ha natura di elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore (in tal senso, Cass. Pen., Sez. Unite, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, non mass. sul punto; Cass. Pen., Sez. III, n. 3098/2016; Cass. Pen., n. 35611/2016; Cass. Pen., n.42868/2013).

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