Il manager della F1 è accusato di evasione per via di un trust di famiglia registrato in Liechtenstein. Per le entrate britanniche non avrebbe mantenuto gli accordi concordati nel 2008.
Una montagna di tasse non pagate, poco inferiore al miliardo e mezzo di euro. Un conto salatissimo, persino per un tycoon come Bernie Ecclestone: così il boss della Formula 1 ha deciso di sguinzagliare il suo team di avvocati e presentare ricorso contro il fisco inglese, che gli ha contestato la cifra record di 1,4 miliardi di arretrati. La controversia è legata a un trust di famiglia chiamato ‘Bambino’, registrato nel 1997 in Liechtenstein in favore della ex moglie Slavica e delle figlie Petra e Tamara. Un fondo di circa 3 miliardi di sterline (4,2 miliardi di euro) che nel 2008 era già finito nel mirino delle entrate britanniche. Nessuna sanzione, però: patron della F1 e fisco trovarono anzi un accordo di massima per il pagamento delle imposte sul trust. Caso chiuso, almeno fino ad oggi. Perché una volta concluso il processo per corruzione che ha visto coinvolto Ecclestone a Monaco di Baviera, gli ispettori di Sua Maestà sono tornati alla carica. Coadiuvati questa volta anche da una sentenza della Corte Suprema di Londra, che di fatto ha sancito la nullità di quell’accordo stipulato nel 2008 in quanto ‘Big Bernie’ non avrebbe rispettato i patti ed evaso una cifra monstre.
Quel processo in Baviera. Per capire perché, dopo sette anni, il Fisco britannico sia ripiombato sulle tracce di quel trust bisogna fare un passo indietro. E tornare a quel processo per corruzione in Germania, a Monaco. Secondo l’accusa, Ecclestone avrebbe pagato nel 2006 una ‘bustarella’ da 44 milioni di euro a Gerhard Gribkowsky, dirigente della banca tedesca Bayern LB, nell’ambito di una maxi-operazione di vendita dei diritti tv della Formula 1. La vicenda si concluderà qualche anno dopo, in modo quasi indolore: ‘Big Bernie’ stacca un assegno da 100 milioni di euro e la questione finisce in archivio. Eppure da quel processo emergono particolari scottanti. È lo stesso Ecclestone a rivelarli nel corso delle udienze. Parla di Gribkowsky, lo descrive come un affarista senza scrupoli, racconta delle volte in cui andava da lui per chiedergli soldi. Fino a quando non iniziò a minacciarlo di una denuncia al fisco inglese per il trust in Liechtenstein. “È stato allora che sono diventato nervoso” spiega il manager al giudice, “non avrei avuto il denaro per pagare 2.000 milioni di sterline. Sarei andato in bancarotta a 76 anni e senza nemmeno un orologio al polso”. Così, dopo un consulto con il suo avvocato, Ecclestone decide di pagare: “Gli ho detto: quanto ti serve? Ma non esagerare. Ti basterebbero 50 milioni per fare tutto quello che vuoi? L’ho detto con la speranza che quello lo zittisse”. La tesi difensiva non regge, per il giudice l’assegno aveva ben altra finalità, ma tanto basta per far drizzare le antenne al Fisco inglese. Che infatti, poche settimane più tardi, riapre le indagini che culminano con la sentenza dell’Alta corte londinese.
“È il fisco che ha torto”. Ora la palla passa agli avvocati, che nel frattempo hanno già presentato ricorso. E intanto Bernie fa spallucce: “non so perché sta succedendo questo, sono materie molto tecniche e avevo già raggiunto un accordo per il pagamento delle tasse sul mio trust. So solo che ho sempre pagato tutto ciò che dovevo al fisco. Sto facendo solo quello che mi suggeriscono gli avvocati, è il fisco inglese ad avere torto”.













