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martedì 17 Giugno 2025
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Manovra, più Ici per tutti tranne il Vaticano, resta esenzione attività commerciali chiesa

La stangata sugli immobili non colpirà le strutture in cui si svolgono attività di lucro gestite da enti ecclesistici. L’esenzione, introdotta dal governo Berlusconi, non è stata eliminata dal governo Monti. Nonostante per reperire le risorse della manovra si interviene pesantemente sugli immobili reintroducendo l’Ici anche sulla prima casa non si interveniene su quello che appare un privilegio.

Mentre per tutti gli italiani torna l’imposta sulla prima casa che, con la rivalutazione delle rendite catastali fino al 60%, diventerà forse la tassa più pesante che gli italiani saranno chiamati a pagare nell’immediato, restano esentati non solo i luoghi di culto, ma anche tutti gli immobili, le attività commerciali e alberghiere di proprietà della Chiesa che, in ogni caso, continua a percepire l’8 per mille. Un vero e proprio censimento degli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici non è mai stato fatto dal catasto, soprattutto sul fronte della destinazione d’uso. Sono stati i Radicali Italiani a denunciare che in tutta Italia sarebbero presenti almeno 50 mila stabili di proprietà della Chiesa di cui 30 mila adibiti ad attività imprenditoriali e commerciali. Se correttamente tassati il gettito potrebbe essere significativo, addirittura dell’ordine di qualche miliardo. E in tempo di crisi e sacrifici per tutti sarebbe opportuno tornare a quanto stabilito dalla Cassazione nel 2004 che interpretando la norma istitutiva dell’Ici che ne prevedeva l’esclusione per gli immobili ‘particolarmente meritevoli’ aveva circoscritto l’esenzione Ici esclusivamente per le unità immobiliari all’interno delle quali si svolge «un’attività effettivamente meritoria e legata al culto».

 

Quella del Vaticano e dell’Ici è una storia lunga, che dura ormai da venti anni. Era il 30 dicembre 1992 quando il decreto legislativo n. 504 venne varato dal primo governo di Giuliano Amato: il testo stabiliva alcune esenzioni per le proprietà della Chiesa. Nell’articolo 7 della norma, tra gli immobili che risultavano esentati dall’imposta comunale figuravano «i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810». Ma la questione su quale tipo di edifici e proprietà dovessero essere esentati e quali no ha portato negli anni a diversi procedimenti giudiziari. Fino a che la norma è stata in parte bocciata nel 2004, quando la Corte di Cassazione ha stabilito, con due sentenze, che per quello che riguarda il diritto all’esenzione Ici: «tanto gli enti ecclesiastici che quelli con fini di istruzione o di beneficenza sono esentati dall’imposta, limitatamente agli immobili direttamente utilizzati per lo svolgimento delle loro attività istituzionali […] non lo sono, invece, per gli immobili destinati ad altro». Si specifica inoltre che «un ente ecclesiastico può svolgere liberamente – nel rispetto delle leggi dello Stato – anche un’attività di carattere commerciale, ma non per questo si modifica la natura dell’attività stessa, e, soprattutto, le norme applicabili al suo svolgimento rimangono – anche agli effetti tributari – quelle previste per le attività commerciali».

Ma la storia non finisce qui. L’esenzione stabilita nel decreto del ’92 viene reintrodotta con il decreto legge del 17 agosto 2005, in cui il terzo Governo di Berlusconi cambia la vecchia normativa, includendo gli immobili destinati ad attività commerciali tra quelli compresi nel diritto all’esenzione. Alle polemiche sul provvedimento, la Cei per bocca del suo ufficio nazionale per le comunicazioni sociali, risponde con un comunicato stampa in cui denuncia le «gravi e fuorvianti inesattezze» di tali critiche, dato che «l’esenzione da tale imposta è già definita per legge fin dal 1992 e il recente decreto legge non fa che confermarla, esplicitando gli ambiti di applicazione».

In realtà, nel decreto del 1992 venivano chiaramente elencati gli immobili esenti dall’imposta, quelli destinati esclusivamente allo svolgimento di attività: assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive. L’elenco non comprendeva dunque le attività a fini di lucro, vale a dire l’oggetto delle polemiche.

L’emanazione del decreto suscita critiche da parte dei membri dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, a causa dei mancati introiti che questa esenzione comporterebbe, oltre al rischio di richiesta di rimborsi da parte di quelle curie che dal 1993 avevano invece pagato l’Ici per le loro attività commerciali. Secondo l’Anci la norma avrebbe causato un minor introito annuo di 200-300 milioni di euro.

Il contenuto del decreto, decaduto per mancata conversione in legge nei tempi utili, viene ripreso nel decreto fiscale collegato alla legge finanziaria 2006, in cui si estende l’esenzione anche alle organizzazioni no-profit e alle Chiese con cui lo Stato ha stretto un’intesa: Tavola valdese, Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, Assemblea di Dio in Italia, Unione delle comunità ebraiche italiane, Unione cristiana evangelica battista d’Italia, Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Nel 2006 il secondo Governo Prodi modifica nuovamente la legislazione. Tuttavia un emendamento alla legge, votato da esponenti di entrambi gli schieramenti, permette di mantenere l’esenzione per le sedi di attività che abbiano fini «non esclusivamente commerciali». Questa formula ha permesso alla Chiesa di usufruire dell’esenzione anche per strutture turistiche, alberghi, ospedali, centri vacanze, negozi: bastava la presenza di una cappella all’interno della struttura.

Ma a seguito della denuncia dei Radicali, la Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia per sospetti aiuti di Stato alla Chiesa cattolica e violazione delle norme comunitarie. Secondo stime dell’Anci a pagare l’Ici all’epoca sarebbe stato meno del 10% di chi avrebbe dovuto farlo, con un danno erariale di 500 milioni di euro l’anno.

Un ulteriore tentativo di escludere le proprietà della Chiesa dall’esenzione dell’Ici, sostenuto nel novembre 2007 dal Partito socialista, in sede di discussione della legge finanziaria 2008, viene bloccato in Senato, con soli 12 voti a favore e ben 240 contrari (tutti i senatori presenti della Casa delle Libertà e parte di quelli de L’Unione), oltre a 48 astenuti (principalmente i rappresentanti dei partiti della cosiddetta sinistra radicale).

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