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sabato 3 Maggio 2025
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Margini stretti per accertamenti nel settore del trasporto aereo internazionale

La convenzione Ocse relativamente al trasporto aereo e marittimo internazionale tende ad attribuire potestà impositiva esclusiva al paese in cui è situata la sede di  direzione dell’impresa. Possono essere tassati nel nostro paese solo i redditi non rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 8 della convenzione.

di Yoda

La specificità della fiscalità nel settore del trasporto aereo e marittimo internazionale e del commercio elettronico pone problemi anche nellle attività di contrasto all’evasione. Occorre perciò ripensare tale comparto della fiscalità con un’ottica europea e prevedendo una manutenzione periodica da attuare tenendo conto degli impegni presi. Sarà comunque interessante vedere che sbocco avrà la verifica fiscale effettuata a carico della sociètà irlandese Ryanair alla quale ai primi di agosto è stato contestato di non aver dichiarato il reddito prodotto in Italia. La presenza di una stabile organizzazione nel nostro paese non è infatti condizione sufficiente per tassare i redditi prodotti in Italia ma riferibili all’attività di trasporto internazionale.

Il caso Ryanair. Il primo agosto alcuni quotidiani hanno dato notizia di una verifica fiscale a carico della società irlandese Ryanair, alla quale viene contestato di non avere dichiarato il reddito prodotto in Italia, tramite una o più stabili organizzazioni, con la propria attività di trasporto aereo nazionale. Dai sintetici resoconti di stampa non è possibile desumere quali siano, in fatto e in diritto, gli elementi assunti a fondamento della pretesa erariale, su cui, pertanto, sarebbe fuorviante formulare qualsiasi tipo di valutazione. Colpisce, tuttavia, che la diffusione della notizia sia avvenuta ad appena due giorni di distanza dalla risposta resa dal Governo all’interrogazione presentata alla Camera dei Deputati, dall’on. Occhiuto (UDC) sul medesimo tema.

L’interrogazione parlamentare. Nella seduta del 29 luglio, l’interrogante osserva come sia particolarmente difficile configurare l’esistenza in Italia di una stabile organizzazione in relazione a taluni settori economici e categorie di business, “segnatamente nel campo del commercio elettronico e in quello del trasporto aereo, nei quali operano primarie società estere, quali ad esempio E.BAY o RYANAIR, che collocano le proprie strutture operative al di fuori del territorio dello Stato proprio al fine di occultare l’esistenza di una propria stabile organizzazione in Italia e di sottrarsi in tal modo alla tassazione”. Rileva come tali modalità operative alterino la concorrenza con altre aziende, nazionali e non, le quali versano regolarmente le imposte dovute per le attività svolte nel territorio dello Stato, e “chiede di sapere quali iniziative di carattere normativo l’Esecutivo intenda adottare o promuovere per garantire un’uniforme imposizione fiscale tra le predette realtà imprenditoriali”.

La risposta ‘riduttiva’ del Governo. Su indicazione dell’Agenzia delle Entrate, il sottosegretario all’Economia Sonia Viale si limita a rispondere che i criteri di ripartizione dei diritti impositivi tra gli ordinamenti “sono stabiliti in via pattizia e non possono essere modificati se non attraverso la modifica delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dal nostro paese”; e che, in ogni caso, l’Italia condivide con gli altri paesi OCSE “i criteri comuni di riferimento in base ai quali si determina la configurabilità di una stabile organizzazione”. A parere del Governo, quindi, non vi è alcuna necessità di disposizioni o atti di indirizzo normativo, trattandosi di problemi che derivano unicamente dalla non corretta applicazione dei principi elaborati in sedi internazionali, da “fenomeni di abuso finalizzati ad aggirare le disposizioni convenzionali ed i richiamati principi di prassi internazionali”, i quali “possono essere ostacolati attraverso il rafforzamento dell’attività di controllo”. Una risposta che, osserva l’onorevole Occhiuto, sottovaluta le specificità proprie dei settori del commercio elettronico e del trasporto aereo, laddove “la sottrazione ad imposizione di attività svolte direttamente nel territorio dello Stato, lungi dall’essere riconducibile esclusivamente a fenomeni di abuso … è resa possibile, piuttosto, dalle lacune esistenti nel nostro ordinamento, che appare pertanto necessario colmare”.

Il punto in diritto. In effetti, la fiscalità delle imprese di trasporto aereo propone questioni di diritto, talmente specifiche e complesse da meritare una risposta meno semplificatoria. In relazione a società estere che, al pari di Ryanair, esercitano attività di navigazione marittima o aerea in traffico internazionale (e hanno la sede di direzione effettiva in un paese con cui è in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni), il problema di fondo non è l’accertamento della presenza in Italia di una o più stabili organizzazioni; anche perché, normalmente, esse sono esistenti e ben visibili. Diversamente da quanto accade per le imprese di qualsiasi altro settore, infatti, l’Italia potrebbe non avere il diritto di tassare i profitti prodotti sul suo territorio, pur attraverso strutture qualificabili come stabili organizzazioni. Occorre prima stabilire se essi non siano riconducibili tra i profitti per i quali la Convenzione – in conformità con l’art.8 del Modello Ocse – attribuisce potestà impositiva esclusiva al paese di appartenenza dell’impresa, in cui è situata la sua sede di direzione effettiva (place of effective management POM). Possono essere tassati in Italia, in via residuale, soltanto i redditi d’impresa ivi prodotti da un’impresa estera del settore tramite una stabile organizzazione, che non siano da considerare attratti nel sempre più vasto ambito applicativo dell’art.8. Se, poi, l’impresa riesce a produrre direttamente dall’estero questi redditi ‘residuali’, senza avvalersi delle stabili organizzazioni di cui dispone per le attività comprese nell’art. 8, l’intero suo reddito può essere assoggettato a tassazione solo nello Stato sede di direzione effettiva.

La ratio dell’art.8 del Modello di convenzione OCSE e dei precedenti accordi di settore. Le disposizioni previste nelle Convenzioni, in conformità all’art. 8 del Modello Ocse, per i trasporti internazionali sono state storicamente precedute da accordi bilaterali specifici sottoscritti da alcuni paesi (tra cui l’Italia del secondo dopoguerra) per i settori marittimo e/o aereo. Lo sviluppo dei traffici internazionali aveva posto precocemente all’attenzione dei governi il problema della “frammentazione” e della doppia imposizione sui redditi prodotti da queste imprese. Le quali hanno spesso la necessità di installare strutture operative, qualificabili come stabili organizzazioni, in ciascuno dei differenti e molteplici paesi di attracco o di sosta. Se a ciascuno di essi dovesse essere attribuita la quota di utile corrispondente al proprio concorso alla complessa attività, si porrebbero rilevanti problemi di adempimento e rischi di doppia imposizione a molteplici livelli. Fu così che accordi bilaterali di settore e, poi, le disposizioni convenzionali corrispondenti all’art.8 del Modello Ocse sono intervenuti per attribuire – a determinate condizioni –sovranità impositiva esclusiva allo Stato in cui è situata la sede di direzione effettiva dell’impresa, indipendentemente dalla presenza di una è più stabili organizzazioni nell’altro Stato contraente. Ne deriva che, nelle convenzioni conformi al Modello Ocse, l’art. 8 – in virtù della sua specificità – precede (e prevale) sull’art. 7 che, invece, riconosce potestà concorrente allo Stato (c.d. della fonte) in cui è situata la stabile organizzazione di un soggetto estero, per i redditi ad essa attribuibili. 

Le condizioni di applicabilità dell’art.8. Per favorire i traffici internazionali e l’operatività delle imprese che ad essi sono dedite, si è dunque consumato il “sacrificio” dello Stato (o degli Stati) della fonte a beneficio di quello cui l’impresa soggettivamente appartiene Esso è stato, tuttavia, accettato a condizioni di reciprocità dai vari Stati che hanno sottoscritto i trattati e riguarda solo gli utili derivanti dall’esercizio di navi o aerei in traffico internazionale. Dovrebbero quindi esserne esclusi i profitti derivanti da attività diverse dal trasporto o quelli delle tratte nazionali, ma la conclusione non è così semplice. Il concetto di ‘traffico internazionale’ e il perimetro delle attività connesse o accessorie che sono state fatte rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 8 si sono grandemente ampliati nelle più recenti versioni del Commentario al Modello Ocse, per adeguarsi alla maggiore complessità delle modalità operative e organizzative dei particolari settori.

L’ampio concetto di ‘traffico internazionale’. Come definita dall’art.3 del Modello Ocse, l’espressione “traffico internazionale” individua “qualsiasi attività di trasporto effettuato per mezzo di una nave o di un aereo da parte di un’impresa la cui sede di direzione effettiva è situata in uno Stato contraente, ad eccezione del caso in cui la nave o l’aereo siano utilizzati esclusivamente tra località situate nell’altro Stato contraente”. Il Commentario al Modello, sin dalla versione del 1995, avverte che il concetto deve essere inteso in un’accezione più ampia di quella normale (“the term ‘international traffic is broader than is normally understood”), in modo che resti attribuito allo Stato contraente, diverso da quello in cui l’impresa la sede di direzione effettiva, il diritto a tassare soltanto gli utili relativi ai trasporti che hanno inizio e termine in due località situate nel proprio territorio. Qualora, infatti, la tratta interna sia parte di un viaggio più lungo che inizia o si conclude in un altro Stato qualsiasi, esso sarà interamente considerato trasporto internazionale. Ancora, la versione 2000 del Commentario chiarisce che anche un viaggio che parte e si conclude nel medesimo Stato sarà considerato internazionale se prevede una sosta intermedia nel porto o aeroporto di un altro Stato.

Le attività connesse al traffico internazionale, le attività accessorie e i ‘flussi”di royalty, interessi o utili di partecipazione. Nel contempo e, in particolare, con la versione 2005 del Commentario è stata accolta un’ accezione molto ampia del concetto di utili derivanti dall’esercizio di navi e aerei in traffici internazionali, come tali ammessi ai benefici dell’art. 8, ovunque prodotti anche tramite stabili organizzazioni. Essi comprendono non solo i profitti ottenuti dal trasporto passeggeri e merci con navi o aerei (in proprietà, locazione o a disposizione dell’impresa a qualsiasi altro titolo), ma anche quelli derivanti da attività direttamente connesse ai trasporti, in quanto necessarie e esercitate in via principale (primarily) in connessione con essi. Sono inoltre compresi nel perimetro dell’art. 8, e quindi tassabili solo nello Stato sede di direzione effettiva, anche i profitti generati (tramite stabili organizzazioni nell’altro Stato contraente) dalle attività accessorie; per tali, intendendo le attività che – per quanto non necessarie – sono strettamente relative a quelle di trasporto e tali da generare utili relativamente modesti in rapporto a quelli generali dell’impresa. Per questa strada, il Commentario Ocse riconduce alle attività del vettore, di cui all’art. 8, gli utili di una gamma sempre più vasta di servizi, anche forniti da soggetti diversi: dal trasporto terrestre facente parte di un trasporto internazionale aereo o marittimo, alla vendita di biglietti per conto di un’altra impresa relativi alla tratta interna di un trasporto considerato internazionale, alla vendita di spazi pubblicitari su riviste ecc. E, ancora, sono attratti al perimetro dell’art. 8 anche i flussi di reddito non qualificabili come d’impresa, che ordinariamente (in base alle norme interne o convenzionali) lo Stato della fonte assoggetta a ritenuta a titolo definitivo all’atto del pagamento al soggetto estero. Risultano, infatti, non imponibili i flussi delle royalty corrisposti a fronte di contratti d’uso e concessione in uso di navi o aerei equipaggiati, in quanto ritenuti equiparabili al reddito derivante dalle attività di trasporto; e talora le stesse royalty derivanti dalla locazione “a scafo nudo” di navi o aerei o dal noleggio di container qualora rappresentino – secondo le indicazioni della circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 47 del 2005 – fonti occasionali di profitto per le imprese estere operanti in traffici internazionali. Parimenti non sono imponibili alcune tipologie di redditi di capitale, tra cui gli interessi relativi a titoli dati in garanzia per esercitare operazioni di trasporto internazionale o attività connesse o accessorie; e, talora, gli utili di partecipazione a fondi o ad altre forme di esercizio in comune di tali particolari attività.

La ‘residuale’ base imponibile domestica delle imprese di navigazione marittima o aerea. L’art.8 ha dunque grandemente esteso i suoi tentacoli e si è di conseguenza, ridotto, per qualità e valore, il perimetro delle attività da considerare strettamente ‘locali’ sui cui profitti – se conseguiti tramite una stabile organizzazione – lo Stato della fonte può ancora, in via residuale, esercitare i propri diritti impositivi. Anche quando sia possibile “separare” dal reddito del soggetto estero una quota di profitti d’impresa non riconducibili all’art. 8, resta da chiedersi se essi siano prodotti in Italia attraverso una stabile organizzazione, oppure da Casa madre. In relazione alle particolari modalità operative dell’impresa estera nell’epoca di Internet, potrebbe facilmente accadere che questo segmento – assolutamente residuale – di attività sia condotto direttamente dalla sede estera senza avvalersi delle strutture operative esistenti nel territorio dello Stato, altrimenti dedite alle attività attratte all’art.8.

La posizione dell’Italia. Nelle proprie convenzioni, l’Italia si è ordinariamente attenuta al Modello Ocse né si è mai, sul punto, discostata dalle interpretazioni del Commentario con formali ‘riserve’ o ‘osservazioni’. Esso, quindi, assume valore ermeneutico anche per le convenzioni più antiche, come quella tra Italia e Irlanda, stipulata nel lontano 1971, il cui art. 7 reca una norma corrispondente all’art. 8 del Modello. Per di più, quando è intervenuta con disposizioni interne ha accolto tesi che cercavano di favorire gli investimenti esteri, come il comma 5 dell’art. 162, in tema server e stabile organizzazione.

Le ‘parallele’ agevolazioni introdotte in Italia per le imprese del settore navale con sede di direzione effettiva nel territorio dello Stato. Come è noto, gli svantaggi competitivi – anche di natura fiscale – delle imprese di armamento residenti provocarono la “fuga” all’estero della nostra flotta, cui si è cercato di rimediare, a partire dall’introduzione del “registro internazionale”, con la previsione di due diversi (e alternativi) regimi di particolare vantaggio fiscale. L’art. 4 del DL n. 457 del 1997 prevede l’esclusione dalla formazione del reddito complessivo dell’80 per cento del reddito derivante dall’utilizzo di navi iscritte nel registro internazionale, mentre – in alternativa – l’art. 155 del TUIR ne consente una determinazione forfetaria (c.d. regime di tonnage tax) di particolare vantaggio. In queste norme riservate alle imprese residenti del settore navale e nelle relative interpretazioni della prassi, i concetti di traffico internazionale e di attività connesse o accessorie sono stati, parimenti, assunti nella loro più ampia accezione, per non pregiudicare la competitività rientrata in Italia.

Le imprese ‘italiane’ del settore aereo. Nessuna specifica disposizione è invece prevista per le imprese del settore aereo con sede di direzione effettiva in Italia, anche perché è probabile che l’unica compagnia interessata sia Alitalia, controllata dal Ministero dell’Economia fino a pochi anni fa. Prima che ‘volino’ all’estero anche le sue imposte – come fu paventato in un articolo apparso su “La voce” nel 2007 quando sembrava imminente l’acquisizione del controllo da parte del gruppo francese Air France e, di conseguenza, probabile il trasferimento della sede di direzione effettiva – non sarebbe male procedere ad una riconsiderazione generale del complesso problema, magari con specifico riguardo al settore aereo, finora meno esplorato. Quale impresa del settore aereo sceglierà di stabilire in Italia la propria sede, se con Internet può operarvi tranquillamente e svolgervi il suo business senza rinunciare ad ‘appartenere’ a Stati con fiscalità di maggior vantaggio, quali I’Irlanda? Continuando magari ad esercitare tramite stabili organizzazioni in loco tutte (e soltanto) le vaste attività riconducibili all’art. 8 del Modello Ocse? La “reciprocità” dei diritti e degli obblighi dei trattati bilaterali diventa, in punto di fatto, inoperante, ora che il radicamento dell’impresa è sempre meno necessario per produrre alcune tipologie di reddito in un determinato paese. I complessi problemi di competitività delle imprese domestiche meritano quindi di essere affrontati, senza tuttavia pregiudicare gli investimenti esteri, la certezza e l’affidabilità complessiva del sistema. Sotto questo profilo, preoccupa la sottovalutazione, desumibile dal tenore della risposta del Governo alla interrogazione dell’on Occhiuto, della complessità dei profili di diritto che la particolare fiscalità del settore propone.

Un progetto per la fiscalità internazionale e una guida per i controlli.I controlli, che pure sono necessari, dovrebbero essere guidati da un progetto e da una visione complessiva dei problemi e del difficile equilibrio tra tutela delle imprese nazionali, salvaguardia delle relazioni internazionali e interesse del paese a non allontanare gli investimenti esteri. Sarebbe, quindi, buona regola non dare per scontato che non ci siano ‘lacune’: il settore aereo è molto cambiato dagli accordi del dopoguerra e la relativa fiscalità andrebbe forse ripensata in un contesto e con un progetto, quantomeno, europeo. Più in generale, è la fiscalità internazionale a richiedere ‘manutenzione’ costante: che siano periodicamente rivisitati – nel loro insieme – istituti, concetti, intrecci e interrelazioni, tenendo conto del ‘passato’ degli impegni già presi, delle interpretazioni già avallate, anche indirettamente, perché affidabilità e certezza dei rapporti giuridici sono valori indispensabili. Ma senza mai rinunciare, per il futuro, a domandarsi in che misura ciò che viene dal passato – comprese le convenzioni – è tuttora corrispondente agli interessi attuali del paese, o non debba essere rimeditato in un quadro di coerenza e appetibilità complessiva del sistema.

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