I progetti Icar ed Elisa. Un tentativo di supportare l’interoperabilità tra i sistemi informativi delle Regioni della PA e di implementare lo sviluppo di iniziative tecnologiche per l’innovazione della Pa.
L’ammodernamento informatico e tecnologico della pubblica amministrazione richiede un’energica attività di indirizzo delle scelte tecnico-organizzative e un piano di investimenti per lo sviluppo di progetti coerenti col piano generale. Tuttavia, data anche la carenza di risorse di cui dispone lo Stato è opportuno adottare una strategia che valorizzi il più possibile quanto realizzato in passato. A partire dai progetti Icar ed Elisa. Si tratta dunque di perseguire gli obiettivi di una moderna Pa salvaguardando gli investimenti già fatti, ancorché in assenza di un disegno complessivo organico e coerente. Occorre dunque immaginare un un grande progetto in grado di guardare al futuro senza disperdere le esperienze positive già realizzate. Si tratta di definire architetture e standard di riferimento in grado di consentire l’interoperabilità applicativa fra i sistemi dei diversi Enti della Pa. Indispensabili un modello tecnologico condiviso e un’autorità di chief information officer in grado di fornire indicazioni di carattere organizzativo.
Il quadro delle norme emanate in tema di circolarità dei dati fiscali e integrazione delle basi dati della Pa enuncia principi che non hanno ancora visto piena attuazione. In particolare è il caso dell’integrazione del Sistema Informativo della Fiscalità con i dati della fiscalità locale, prevista dal decreto legislativo sul federalismo municipale (D.Lgs. 23/2011). Dal punto di vista squisitamente tecnico la piena integrazione delle basi informative e dei supporti informatici richiede la definizione di architetture e standard aperti di riferimento, elementi essenziali per il successo di tutte le iniziative di e-Government che dipendono dall’interoperabilità applicativa fra i sistemi delle Pubbliche amministrazioni. In questo campo Digit Pa (oggi confluita nella nuova Agenzia per l’Italia digitale) ha dettato, in modo forse rigido, ma comunque organico e completo, le regole tecniche in materia di sicurezza e interconnessione dei sistemi informativi. Questo lavoro ha prodotto il framework tecnologico conosciuto come SPCoop (“Sistema Pubblico di Cooperazione”) che fissa gli standard e fornisce i servizi infrastrutturali a supporto dell’interoperabilità e della cooperazione tra i sistemi.
Il modello architetturale di riferimento è quello della cooperazione applicativa (Soa – “Service-Oriented Architecture”) e si appoggia sui servizi offerti dallo strato di connettività del Sistema Pubblico di Connettività (Spc), l’infrastruttura di rete delle Pubbliche amministrazioni. Ma la diffusione / accettazione di un modello tecnologico condiviso ha bisogno di essere supportata da indicazioni di carattere organizzativo da parte di un’autorità di chief information officer. In questo contesto possono essere affrontati e risolti i problemi connessi al diverso livello tecnologico degli enti coinvolti, comuni piccoli e grandi e regioni, chiamando quelli più evoluti ad assumere istituzionalmente il ruolo di intermediario infrastrutturale.
Anche il digital divide, abusato per motivare inadempienze e ritardi, non ha solo radici territoriali o storiche o semplicemente economiche, ma, è anche un fatto “fisiologico” legato, ad esempio, alle dimensioni degli enti: non ci si può attendere in un piccolo comune una struttura informatica avanzata. E’ l’adozione di un modello organizzativo adattabile al diverso livello tecnologico degli attori del sistema che deve rendere praticabili a tutti le soluzioni individuate. Questo fattore ha seriamente compromesso la compiuta collocazione istituzionale ed organizzativa delle iniziative sorte, anche con finanziamento pubblico, negli ultimi anni. Tuttavia, in alcuni casi, si tratta di iniziative di grande interesse, sia per la loro valenza intrinseca, sia per le indicazioni che se ne possono ricavare.
Il programma Elisa. Per il triennio 2008-2010 il Dipartimento affari regionale della presidenza del consiglio ha finanziato, con 15 milioni di euro l’anno, il programma Elisa (www.programmaelisa.it, www.eli.catasto-fiscalita.anci.it), un programma per lo sviluppo di iniziative tecnologiche per l’innovazione della Pa con caratteristiche di generalizzabiltà e riusabilità. Nel campo della fiscalità, tra gli altri, sono stati finanziati due progetti tra loro strettamente connessi: Eli-Fis, per la fiscalità generale e Eli-Cat, per il catasto, del valore di circa 7 mln ciascuno, finanziati per il 40% dal Dar. Lo sviluppo è stato condotto nel periodo aprile 2008 – settembre 2010 ad opera di enti locali consorziati in pool coordinati da enti capofila (comuni di Terni e Bologna), responsabili della gestione delle commesse. Gli enti partecipanti ai progetti, a titolo di sviluppo, sperimentazione o fruizione dei servizi, sono comuni, province, regioni, comunità montane. I prodotti/servizi, realizzati rispettando le linee guida dell’SPCoop, sono iscritti nel catalogo di software a riuso di proprietà pubblica istituito da Digit Pa e vengono rilasciati con licenza open.
A tutt’oggi, in campo fiscale, il progetto costituisce probabilmente il miglior tentativo di affrontare con respiro nazionale e in termini organici e sistematici i nodi della cooperazione informatica e dell’integrazione delle banche dati nella Pa.
Gli obiettivi dichiarati erano quelli di costruire:
– un sistema informatico in grado, nel rispetto delle regole di interoperabilità e cooperazione applicativa espresse dal Sistema Pubblico di Connettività, di orchestrare lo scambio delle informazioni tra Sistema pubblico centrale e Sistema pubblico territoriale integrando processi e dati di Amministrazioni diverse;
– un insieme di regole organizzative atte a definire opportuni standard di comunicazione, per armonizzare le interrelazioni tra i vari livelli istituzionali.
Dal punto di vista tecnico il progetto puntava tutto sugli strumenti della cooperazione applicativa, cercando sinergie con esperienze di impostazione tecnologicamente omogenea: ad esempio Icar, progetto infrastrutturale delle regioni per la realizzazione di una rete per l’erogazione di questa tipologia di servizi. Quello che contraddistingue i servizi di cooperazione applicativa è la capacità di gestire lo scambio informativo direttamente tra applicazioni informatiche, senza intervento da parte dell’operatore umano. Questo significa automatizzare il processo di integrazione delle informazioni che risiedono su sistemi diversi sollevando l’operatore dalla fase di accesso ai dati e, almeno in parte, da quella istruttoria di confronto e verifica.
Ovviamente, dal momento che richiedeva anche da parte dei semplici fruitori lo sviluppo di applicazioni software (componenti client) e la capacità di gestire una infrastruttura informatica, questa soluzione non era adottabile autonomamente da tutti gli enti. Per questo motivo nel modello architetturale sono previsti i Centri di servizio condivisi (Csc): regioni, ma anche comuni grandi e organizzati oppure consorziati, che realizzano i servizi informatici e li erogano ai propri affiliati.
Questa impostazione portava, tra l’altro, alcune conseguenze positive:
– risolveva “operativamente” il problema dell’integrazione delle banche dati, evitando i rischi connessi con la loro replicazione: lievitazione dei costi di gestione, disallineamento dei dati, cattiva interpretazione dei dati “grezzi” da parte dei fruitori;
– ritagliava un ruolo di intermediario strutturale (i Centri di servizio condivisi) per le Regioni, che in molti casi detengono capacità informatiche avanzate, ma non sono titolari di un patrimonio informativo particolarmente ricco (al di là di Bollo Auto e poco altro);
– poneva le premesse per un salto di qualità nei servizi che le amministrazioni rendono ai privati, ad esempio nel controllo delle prestazioni sociali e nella gestione/controllo degli adempimenti tributari;
– in particolare apriva possibilità in materia di partecipazione da parte dei comuni all’accertamento dei tributi statali, argomento caldo in quanto coinvolge temi quali l’evasione, la difficoltà dei comuni a reperire risorse economiche, la necessità delle Pa di intervenire in modo sinergico su alcuni processi.
L’obiettivo era attivare uno scambio intelligente e qualificato a misura delle specifiche esigenze informative, che prendesse le mosse dalla necessità di supportare informaticamente, in modo organico e sistematico, i compiti istituzionali di comuni, province, regioni e comunità montane. Simmetrico beneficio si poteva attendere per le Pa centrali (le agenzie fiscali) in termini di disponibilità di informazioni gestite localmente e di bonifiche di banche dati, secondo un modello bidirezionale nel quale ogni ente è potenziale fornitore e fruitore di servizi. In definitiva si puntava su una tecnologia (la cooperazione applicativa) che consentisse alle amministrazioni titolari dei dati di rendere disponibili le “informazioni necessarie agli enti che le richiedono”, piuttosto che “fornire i download dei dati gestiti”. Magari dopo averli pre-elaborati allo scopo.
Nella fase di impostazione architetturale del progetto (cfr. audizione in Commissione di vigilanza Anagrafe Tributaria di Mauro Cammarata, Direttore entrate del comune di Bologna e responsabile dell’ente capofila del Progetto – 24 giugno 2010) le amministrazioni centrali avevano dato il loro assenso prevedendo la realizzazione delle componenti di competenza (c.d. “Orchestratore centrale”). Nei fatti questa partecipazione è venuta a mancare e con essa la funzione server deputata al flusso verso il territorio delle informazioni che risiedono nelle banche dati centrali (e, tanto più, di quella client per l’acquisizione al centro dei dati locali). E il progetto è stato costretto a dar corso ad un vero e proprio “piano di contingency”. La decisione delle amministrazioni centrali di non sviluppare queste componenti è stata probabilmente determinata dalla valutazione del rischio di replicazione delle banche dati, pur sussistendo, comunque, l’obbligo di legge di fornitura dei dati agli enti territoriali.
A seguito di ciò il progetto è comunque sopravvissuto utilizzando i servizi erogati dalle agenzie in base alle norme vigenti: essenzialmente servizi di fornitura massiva (scarico dei dati delle banche dati centrali) e di consultazione on-line. Quanto alla cooperazione applicativa, il suo utilizzo nello scambio centro-territorio sembra al momento limitato alla schedulazione delle forniture da parte dell’Agenzia del Territorio (servizi asincroni) e ad applicazioni circoscritte, realizzate in seguito al di fuori del progetto. Questo riposizionamento, pur conservando il progetto un proprio valore in termini di condivisione di esperienze, best practices e strumenti informatici, ha di fatto comportato la effettiva replicazione strutturale dei dati contenuti nelle banche dati centrali ed il carico sui Csc dell’integrazione fisica dei dati stessi.
Un commento particolare meritano le ricadute sull’attività delle terze parti alle quali gli enti territoriali e locali affidano le realizzazioni informatiche sul territorio. In questo settore è stato sempre difficile individuare un punto di equilibrio tra il timore di un invasione di campo da parte dell’informatica centrale e la necessità di realizzare economie di scala, portando a fattor comune le funzioni di supporto generalizzabili. In questo senso, la soluzione su cui il progetto è ripiegato non ha certo contribuito ad individuare una corretta definizione del ruolo dell’informatica centrale (pubblica) e locale (partecipata e privata). Né in termini di segmentazione dei processi supportati, né in termini di tecnologie adottate. Un colloquio informativo affidato a servizi cooperativi impostati in modo condiviso, anziché a strumenti di downloading e di semplice accesso avrebbe contribuito a separare con chiarezza le fasi di pre-elaborazione / interpretazione dei dati da quelle di utilizzo, collocando le prime ove ne risiedono titolarità e conoscenza e le altre ove ne sussiste la necessità.
Il progetto Icar. Tornando agli aspetti infrastrutturali, nel periodo 2006-2009 è stato sviluppato il progetto Icar (www.progettoicar.it), del valore di 24 milioni di euro, dei quali 9 provenienti dal Cnipa e il resto da autofinanziamento delle regioni. Mediante task coordinati in piena autonomia da diverse regioni capofila, è stata realizzata una infrastruttura a supporto dello sviluppo federato e cooperativo dell’ e-government. Primariamente, quindi, il sistema, supporta l’interoperabilità e la cooperazione applicativa in rete tra i sistemi informativi delle Regioni. E in questo ambito sono già state sperimentate diverse applicazioni tra le quali: Compensazione sanitaria interregionale, Circolarità anagrafica, Tassa automobilistica regionale, Osservatorio Interregionale sulla rete distributiva dei carburanti, ecc..
Ma, rispetto a quanto già previsto da SPCoop, il sistema porta il valore aggiunto dal ruolo di intermediario infrastrutturale cui le regioni si candidano, laddove un punto debole di SPCoop è quello di richiedere indiscriminatamente una capacità tecnica difficile da ipotizzare nei piccoli enti. Con questa logica vengono messi a disposizione servizi base per la federazione dei sistemi di identità digitale e per lo sviluppo della cooperazione applicativa: registro degli accordi di servizio, gestione e monitoraggio dei livelli di servizio, indirizzamento delle buste e-gov , gestione degli eventi. Ad oggi tutte le regioni e le province autonome sono dotate di porte di dominio per l’erogazione di questi servizi (i nodi Nica).
Concludendo è chiaro come qualsiasi tentativo di intervenire in questo campo richieda un’energica attività di indirizzo delle scelte tecnico-organizzative e un piano di investimenti per lo sviluppo di progetti coerenti col piano generale. D’altronde non si potrà prescindere dalla salvaguardia degli investimenti già fatti, ancorché in assenza di un disegno complessivo organico e coerente, adottando una strategia che valorizzi quanto realizzato in passato e traguardi gli obiettivi finali da perseguire.