“La lotta all’evasione fiscale partirà da evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva, accompagnata da una modifica dei criteri di valutazione dei risultati dell’Agenzia delle Entrate, che vogliamo ancorare agli importi effettivamente incassati e non alle semplici contestazioni, come incredibilmente avvenuto finora”.
Poche parole, quelle pronunciate al capitolo Fisco dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni nel suo discorso alla Camera per la fiducia al nuovo governo. Ma che sembrano preludere, almeno alle orecchie dei profani, a grandi rivoluzioni copernicane sulla via del risanamento e della modernizzazione di un sistema fiscale che notoriamente fa acqua da tutte le parti.
I presupposti del ragionamento su cui la presidente Meloni poggia il suo intervento programmatico appaiono in realtà abbastanza fragili. L’evasione fiscale in Italia, come è stato più volte dimostrato, è un fenomeno di massa che investe la quasi totalità del lavoro autonomo. Le grandi imprese molto raramente sfuggono ormai alla rete del Fisco, mentre è ancora molto proficuo per i titolari di azienda di maggior dimensione il ricorso alla pratica dell’elusione.
“I dati ufficiali mostrano il contrario da quanto afferma la nuova presidente del Consiglio – spiega l’ex ministro delle Finanze e del Tesoro Vincenzo Visco – e cioè che la gran parte, anzi la quasi totalità dell’evasione italiana avviene ad opera delle piccole imprese e del lavoro autonomo e che per esempio queste categorie di contribuenti evadono percentuali dell’Irpef più prossime al 70 che non al 60 per cento”. “Un’evasione di massa di dimensioni impressionanti – incalza Visco – ed è molto grave che il governo uscente, venendo meno ad una precisa disposizione di legge, non abbia allegato alla Nadef il rapporto annuale sulla economia non osservata che pure era stato predisposto dagli uffici”.
“Le grandi imprese invece eludono le imposte in modo sistematico – osserva ancora Visco – ma anche in questo caso si ritiene che gli interventi della magistratura sull’abuso del diritto debbano essere frenati”.
Per quanto riguarda la capacità di accertamento e riscossione dell’Amministrazione finanziaria, messa sotto accusa da Meloni “il tema non è quello di passare dal considerare gli importi delle semplici contestazioni al considerare gli importi dell’effettivo incassato, perché è così da 20 anni” ribatte su Facebook Enrico Zanetti, componente del governo Renzi dal 2014 al 2016 con l’incarico di sottosegretario al ministero dell’Economia e delle Finanze e di viceministro nello stesso dicastero nel 2016. Ma Zanetti è soprattutto l’autore di un’interrogazione parlamentare sul tema, alla quale aveva risposto dettagliatamente l’Agenzia delle Entrate.
La norma risalente al 1997 e al primo governo Prodi, che ha introdotto i primi incentivi al personale delle Entrate, li legava già al recupero del gettito evaso effettivamente incassato e non al mero invio di avvisi di accertamento.
Nel 1999 la riforma Visco che ha istituito le agenzie fiscali ha fissato nuove condizioni all’erogazione di premi di produttività ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, subordinando la quota incentivante al raggiungimento di una serie di obiettivi suddivisi in aree di intervento. Un’ulteriore riforma del 2015 delle norme sull’incentivazione del personale rafforza il concetto di legare i premi al “maggior gettito incassato” derivanti dall’adempimento spontaneo, dai controlli fiscali e dall’individuazione di rimborsi e crediti di imposta non dovuti.
La convenzione tra Mef e Agenzia delle Entrate firmata a fine 2021 e valida fino al 2023, cita, tra gli indicatori che contano nella valutazione dei risultati, solo “le entrate complessive da attività di contrasto” e le percentuali di successo dell’Amministrazione finanziaria nei contenziosi con i contribuenti che finiscono davanti alle Commissioni tributarie (un obiettivo è il 69% di sentenze definitive totalmente favorevoli all’Agenzia).
Nella tabella che elenca i 37 indicatori da tenere in considerazione nel sistema incentivante conta molto la capacità dimostrata nell’ottenere un’adesione più o meno spontanea del contribuente in risposta all’invio di lettere bonarie e la qualità dei servizi erogati (rimborsi, tempi di lavorazione delle pratiche). I controlli sostanziali, quelli che in teoria dovrebbero disincentivare maggiormente l’evasione, sono diventati negli ultimi anni un’attività marginale anche nella tabella di ponderazione dei premi di produzione.
Per Zanetti la vera riforma dovrebbe consistere proprio nel valorizzare diversamente la natura degli incassi, promuovendo l’attività di accertamento, molto difficile da realizzare, che porta a ottenere l’emersione del sommerso, rispetto a quella meno difficile “di contestare costi indeducibili ed errori giuridico-formali a chi è emerso e con patrimoni trasparenti, che vengono aggrediti anche durante il contenzioso per indurli a versare almeno una parte delle richieste”.