Intervenuto in audizione al Senato, il presidente dei magistrati contabili lancia l’allarme sui conti: “gli oneri di aggiustamento rischiano di ripercuotersi sulla qualità dei servizi”.
La scelta di ricorrere massicciamente al deficit “riduce esplicitamente i margini di protezione dei conti pubblici” e tuttavia “lascia sullo sfondo nodi irrisolti”, dalle pensioni ai contratti pubblici, “e questioni importanti, come il definitivo riassetto del sistema di finanziamento delle autonomie territoriali”. Né risolve il problema delle clausole di salvaguardia, il cui riassorbimento nel 2017 e nel 2018 “richiederà l’individuazione di consistenti tagli di bilancio o aumenti di entrate”. Lo ha detto il presidente della Corte dei Conti Raffaele Squitieri, in audizione presso la commissione bilancio del Senato per analizzare la legge di stabilità 2016.
Occasione persa. Per il magistrato contabile la manovra risponde “ad un disegno preciso”, ossia quello di “potenziare i segnali di ripresa” concentrando “l’utilizzo delle limitate risorse disponibili sul rafforzamento della domanda delle famiglie e sulla riduzione degli oneri che gravano sul mondo delle imprese”. Eppure, osserva Squitieri, “le condizioni economiche avrebbero potuto consigliare l’adozione di interventi sulla spesa fiscale”, ad esempio attraverso interventi sulle aliquote Iva agevolate “eventualmente attutiti con misure di sgravio”. La scelta di rinviare a domani queste problematiche, “pur trovando la propria ragione nell’opportunità di un ridisegno organico o nella necessità di non indebolire l’impulso che può venire da una riduzione fiscale” non consente “di avvantaggiarsi di un momento favorevole anche alla luce della limitata dinamica dei prezzi che potrebbe permettere di contenere la spesa”. Col rischio che “l’onere dell’aggiustamento gravi prevalentemente sulle amministrazioni locali” e si traduca negativamente “sulla qualità dei servizi”.
Comuni a rischio. Nel passare in rassegna i vari interventi inseriti nella manovra, il magistrato si concentra poi sulla modalità di compensazione dei comuni a fronte del mancato gettito dovuto alle esenzioni di Imu e Tasi su prima casa e terreni agricoli. Una soluzione che, ammonisce, “non risulta neutrale, né ai fini della determinazione del gettito complessivo da ristorare” né tantomeno “ai fini della sua distribuzione sul territorio”. Anzi, l’effetto è quello di “sterilizzare la più importante leva fiscale dei comuni”, che unito al blocco per il 2016 di eventuali aumenti di tributi e addizionali, “accentuerà le distorsioni che già configurano un panorama fortemente differenziato del fisco sul territorio”.
Sul fronte delle entrate, la Corte rileva un quadro fortemente incerto. Non solo a causa del crescente ricorso alle clausole di salvaguardia, che per il triennio 2017-2019 ammontano a 54 miliardi comprimendo notevolmente gli spazi della politica fiscale; ma anche per le variegate forme di prelievo “una tantum” (come la voluntary disclosure) che si concretizzano “in un anticipo di gettito futuro in cambio di un ridimensionamento della pretesa erariale”.
Quanto agli interventi di spending review, “il contributo maggiore deriva dalla flessione della spesa in conto capitale”, mentre per valutare l’efficacia e gli effettivi risparmi derivanti dalla razionalizzazione degli acquisti della Pa bisognerà tenere conto delle tempistiche perché molte misure decorreranno dal 2017 e potranno avere effetti nel medio periodo.












