Grazie alla clausola generale antiabuso valorizzata dalla Suprema Corte il fisco italiano ha incassato dai Grandi contribuenti 1,7 miliardi di euro nel 2011. La delega proposta dal governo punta a depenalizzare l’abuso del diritto e a ridurre al minimo le conseguenze per i grandi evasori in caso di controllo.
di Oreste Saccone
La regolamentazione dell’abuso di diritto proposta dal governo nella delega fiscale varata nei giorni scorsi rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol per il fisco con una sorta di colpo di spugna sugli accertamenti in corso. In ballo ci sono molti miliardi evasi soprattutto dalle banche e dai grandi gruppi industriali in grado di attuare pianificazioni fiscali aggressive con il solo scopo di eludere il fisco. Nel solo 2011 sono stati accertati ai grandi evasori oltre 5,5 miliardi e ne sono stati incassati 1,7 con una crescita dell’800 per cento sul 2007. Un risultato ottenuto soprattutto grazie all’indirizzo assunto dalla Cassazione a sezioni unite che ha affermato un principio generale di divieto dell’abuso del diritto in campo tributario facendolo discendere dalla normativa comunitaria per le imposte armonizzate (Iva) e direttamente dai principi costituzionali per i tributi non armonizzati. Proprio mentre gli sforzi dell’Agenzia delle entrate e della Gdf cominciano a produrre risultati tangibili, le norme proposte dall’esecutivo con la delega rischiano di riportarci indietro di anni. Tra i rischi maggiori quello che la nuova disposizione avrebbe efficacia solo per il futuro, con la conseguenza di introdurre un mega-condono gratuito e sanare implicitamente tutte le operazioni poste in essere precedentemente. Inoltre la delega depotenzia la disciplina antielusiva escludendo espressamente la rilevanza penale dei comportamenti ascrivibili a fattispecie abusive. Sarebbe pertanto auspicabile che l’ambiguo e dettagliato testo fosse abbandonato o profondamente rivisto per salvaguardare il principio generale antiabuso affermato dalla Cassazione sulla base di principi costituzionali.
Breve storia dell’abuso del diritto. Il 2008 è stato l’anno di svolta nella lotta all’evasione fiscale dei grandi gruppi transnazionali, dei grandi potentati industriali, economici e finanziari che non di rado, sfruttando le asimmetrie esistenti tra i sistemi fiscali dei Paesi in cui operano, sono abituati a pianificare raffinate operazioni elusive di alta ingegneria fiscale, al solo scopo di ottenere indebiti risparmi d’imposta. Fino a quel momento, nonostante l’Agenzia delle entrate già da qualche anno avesse puntato decisamente i riflettori su complesse operazioni di arbitraggio finanziario (ad esempio strategie di reference basket tramite equità swap o put & call, , dividend washing e dividend stripping, etc.) fatte apposta per aggirare l’ordinamento tributario al solo fine di ottenere indebiti vantaggi fiscali, tra i grandi contribuenti prosperavano schemi di tax planing palesemente elusivi nel convincimento che, in assenza di una norma generale antiabuso, era permesso tutto ciò che non fosse espressamente vietato. E la svolta non è avvenuta certo per mano dei politici. Ma per l’intervento deciso dei giudici che, richiamando direttamente il principio di giusta tassazione sancito dalla Costituzione italiana, hanno posto fine a questo scandalo.
C’era già stato nel 2006 l’intervento dei giudici comunitari che avevano affermato la esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax), considerata immanente alla sesta direttiva, direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale ai fini Iva[1],
Quantunque oggi un sistema fiscale asimmetrico, nel quale cioè venisse riconosciuta l’esistenza del divieto generale dell’abuso del diritto in materia di Iva, perché tributo comunitario, ed escluso in tema di tributi non armonizzati, possa apparire incoerente e contrario ai principi costituzionali, all’epoca non si riteneva applicabile la generale clausola antiabuso di derivazione comunitaria alle altre imposte non armonizzate. Si fa riferimento in particolare alle imposte dirette, più direttamente interessate da tipiche operazioni elusive/evasive collegate ad operazioni transnazionali, non censurate espressamente dall’ordinamento[2].
Nel 2008 la Cassazione a Sezioni unite, con tre storiche sentenze[3], ha aderito all’indirizzo affermatosi nella giurisprudenza della Sezione Tributaria fondato sul riconoscimento di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento italiano.
In concreto, il divieto dell’abuso del diritto si presenta come canone interpretativo delle norme impositive ( art. 53 comma 1 e 2 cost.), nel senso che, laddove il contribuente, attraverso un uso distorto degli schemi giuridici, ponga in essere uno o più atti, negozi o attività, in assenza di ragioni economiche non meramente marginali o teoriche , al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale altrimenti non spettante perché contrario alla ratio della norma o delle norme che lo riconosce, l’operazione o le operazioni poste in essere vanno assoggettate al trattamento fiscale che l’ordinamento tributario normalmente prevede in relazione al risultato economico realizzato dal contribuente[4].
Il rilevante successo della lotta all’evasione basato sul divieto dell’abuso del diritto. L’orientamento assunto a fine 2008 dalla Suprema Corte in tema di abuso del diritto ha prodotto subito rilevantissimi effetti a beneficio dell’erario.
Dal 2008 in poi l’Amministrazione finanziaria, basando la sua azione di controllo sulla esistenza di una generale clausola antielusiva, ha intercettato e contestato numerosi e rilevanti schemi elusivi/ evasivi posti in essere dai grandi contribuenti, che le hanno consentito di realizzare nel 2011 una performance pari all’800% rispetto al 2007.
Attraverso l’abuso del diritto l’Agenzia delle entrate ha contestato a molte banche italiane[5] l’illegittimità di raffinate operazioni di pianificazione fiscale illecite realizzate al solo scopo di ridurre il prelievo fiscale.
Intesa Sanpaolo ha chiuso col fisco un accordo che le è costato circa 270 milioni di euro. Montepaschi ha annunciato di aver definito il pagamento di 260 milioni di euro più interessi. L’evasione milionaria ha interessato anche altri colossi bancari, come Credem , Bpm, Popolare di Novara, Banca Carige e altri istituti bancari[6]. L’accusa di una presunta mega evasione ( operazione Brontos) grava ancora su Unicredito per aver realizzato un’operazione di finanza strutturata che le avrebbe consentito un illecito risparmio fiscale di circa 245 milioni di euro.
In totale, nel 2011 l’Agenzia delle entrate ha accertato nei confronti dei Grandi contribuenti, cioè delle imprese con ricavi superiori a 100 milioni di euro, una evasione di imposta pari 5.532 milioni di euro. Nello stesso anno l’erario ha riscosso dai Grandi contribuenti qualcosa come 1,7 miliardi di euro.
Rischi e criticità della delega. In questo scenario si inserisce la delega con la quale il Governo chiede al Parlamento di introdurre il principio generale di divieto dell’abuso del diritto, esteso ai tributi non armonizzati, fissando in modo dettagliato principi e criteri direttivi (art. 6), che sembrano fatti apposta per annacquare la portata del principio fissato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Queste le più evidenti criticità:
1. La delega sembra ignorare che il principio generale di divieto dell’abuso del diritto è principio già esistente nel sistema tributario, considerato dalla Suprema corte principio di rango costituzionale in quanto canone interpretativo del principio di capacità contributiva. Ne consegue che la delega non può avere la funzione di “introdurre – ex novo – il principio generale di divieto dell’abuso del diritto, esteso ai tributi non armonizzati..”, ma tutt’al più può consentire al governo di inserire nel sistema tributario una norma di tipo interpretativo, che riporti in modo chiaro la nozione di abuso del diritto, conformandosi alla definizione data dalla Corte di Cassazione in ossequio al dettato costituzionale. Se così non fosse, se cioè il principio antiabuso si ritenesse espressione di una novità normativa, la nuova disposizione avrebbe efficacia solo per il futuro, con la conseguenza di introdurre un mega-condono gratuito e sanare implicitamente tutte le operazioni poste in essere precedentemente, in palese contrasto con il dettato costituzionale di cui il principio antielusivo è diretta espressione.
2. La delega volutamente depotenzia la disciplina antielusiva escludendo espressamente la rilevanza penale dei comportamenti ascrivibili a fattispecie abusive[7]. In concreto ai fini penali viene introdotto un discrimine tra i grandi contribuenti e tutti gli altri. Nell’ottica del Governo le mega frodi di svariati milioni di euro pianificate attraverso l’abuso del diritto dai grandi contribuenti per pagare meno tasse non sono percepite come comportamenti particolarmente pericolosi che meritano la sanzione penale, come avviene, invece, nei casi più rilevanti di infedele dichiarazione;
3. Non vorremmo che l’ambiguo testo della disposizione nasconda un’altra insidia. E cioè quella di considerare, ai fini del sistema sanzionatorio amministrativo, la violazione del divieto dell’abuso del diritto una fattispecie diversa dalla infedele dichiarazione. Con la conseguenza che, in assenza di una disposizione che punisca espressamente l’abuso del diritto, non verrebbe in alcun modo sanzionata.
4. I principali criteri ispiratori della delega, tradendo il titolo del capo II nel quale la norma è inserita (contrasto all’evasione e all’elusione e revisione del rapporto tra fisco e contribuenti) sembrano interessati soprattutto a definire una serie di regole procedimentali intese a salvaguardare i grandi contribuenti, quasi come se fino ad oggi l’atteggiamento degli uffici accertatori sia stato contraddistinto da particolare animosità e accanimento e il sistema sia del tutto privo di regole di tutela del diritto di difesa del contribuente. Al contrario, ad onta dei timori paventati, la casistica finora nota in tema di elusione fiscale non tipizzata (abuso del diritto), portata all’attenzione della Suprema Corte, testimonia che mediante la clausola antielusiva generale l’Amministrazione fiscale ha spesso intercettato evidenti fenomeni elusivi (ad esempio fenomeni di dividend washing, dividend stripping, frutto di una pianificazione fiscale intesa essenzialmente a realizzare indebiti risparmi d’imposta mediante operazioni poste in essere in palese assenza di valide ragioni economiche, che non siano il mero vantaggio fiscale. D’altra parte, se il divieto dell’abuso di diritto si configura come canone interpretativo delle norme impositive, nella fattispecie concreta, alla stregua di quanto avviene per qualsiasi accertamento fiscale, l’onere di provare l’eventuale illecito comportamento elusivo (mero vantaggio fiscale, aggiramento della norma, assenza di valide ragioni economiche), non può che gravare sull’ufficio, il quale in caso di soccombenza in sede contenziosa è condannato a rimborsare le spese (art. 15, dlgs. 546/92).
Conclusione. Appare senz’altro utile introdurre nell’ordinamento fiscale italiano una norma di sistema, che a maggiore chiarezza e a tutela dei contribuenti, nel confermare l’esistenza di un principio generale di divieto dell’abuso del diritto, disciplini il relativo procedimento di accertamento. Soprattutto, al fine di estendere, per tutti i controlli che hanno ad oggetto fenomeni elusivi, le maggiori garanzie e tutele assicurate ai contribuenti dal particolare procedimento, di cui all’art. 37bis commi 4 , 5 e 6, dpr.600/73, nelle ipotesi previste dal comma 3 [8] dello stesso articolo 37bis, ad esempio in tema di operazioni straordinarie, nonché dall’interpello antielusivo ad esso correlato.
Ma se questa è la prospettiva non si capisce per quale motivo è stata inserita la disciplina dell’abuso del diritto nell’ambito della delega fiscale, quando basterebbe abrogare il comma 3 dell’art. 37bis (disposizioni antielusive) del dpr. 600/73 per estendere a tutti i controlli riguardanti casi di elusioni/abuso del diritto le garanzie proprie di tale procedimento antielusivo, nonché prevedere espressamente l’estensione di detta disciplina anche alle altre imposte erariali[9].
Non vorremmo che l’ambiguo e dettagliato testo della disposizione di delega al Governo sia fatto apposta per annacquare la portata del principio fissato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione e limitare i danni per i grandi evasori.
Note:
[1] Con la sentenza del 21.2.2006, (Sentenza Halifax )emessa nella causa C-55/02, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha affermato che nel settore dell’IVA si integra un comportamento abusivo quando “le operazioni controverse … nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone” siano idonee a ” procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni”L’affermazione da parte dei giudici comunitari di una generale clausola antiabuso immanente nel sistema della sesta direttiva che consente di perseguire determinati comportamenti dei contribuenti al fine di combattere frodi e abusi, fa si che la stessa integri il contenuto della direttiva medesima e risulti, quindi, anch’essa direttamente applicabile negli ordinamenti nazionali. In ordine agli effetti dell’abuso di diritto, la Corte di Giustizia ha affermato che l’elusione in sé non incide sulla qualificazione dell’operazione ai fini IVA, né sulla qualificazione giuridica del contratto in essere tra le parti come interposizione, ma si riflette sul trattamento fiscale dell’operazione medesima (estratto da circ. 17.12.2007, n. 67).
[2] Sul punto le Sezioni Unite hanno affermato che non contrasta con l’individuazione nell’ordinamento di un generale principio antielusione la constatazione del sopravvenire di specifiche norme antielusive, che appaiono anzi – come la stessa Corte ha osservato – mero sintomo dell’esistenza di una regola generale ( Cass. 8772/2008).
[3] – Cassazione SS.UU., sent. 23 dicembre 2008 (2 dicembre 2008), n. 30055,30056, 30057 – Pres. Carbone . rel. D’Alessandro In particolare la Suprema corte ha affermato che “Non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”
[4] Uno dei casi affrontati dalla Cassazione – Una società statunitense senza stabile organizzazione in Italia cede in usufrutto alla società italiana Alfa le azioni di controllo (90%) della società italiana Beta fino al 31.12.1992, a fronte del pagamento anticipato di un corrispettivo pari all’ammontare dei dividendi che presumibilmente la società partecipata avrebbe distribuito nel periodo, riservandosi il diritto di voto. Nella fattispecie è’ evidente l’assoluta mancanza di un benché minimo vantaggio economico o gestionale, se non il rilevante risparmio d’imposta realizzato dai due contraenti.
La società estera, con la trasformazione del reddito di partecipazione in reddito di negoziazione, non subisce la ritenuta del 30% a titolo d’imposta, ex art. 27 , comma 3, del dpr. 600/73, sui dividendi distribuiti. La società italiana, titolare del diritto di usufrutto sulle azioni, gode del credito d’imposta di 9/16 sui dividendi distribuiti, è soggetta ad una ritenuta meno oneroso, peraltro a titolo di acconto, ex art. 27, comma 1, del citato dpr. 600/73, e si deduce il costo di acquisto dell’usufrutto.
[5] R.Fi, “Intesa, transa col Fisco: 270 milioni”, ILsole 24 ore del 14.12.11
[6] FINANZA E MERCATI FINANZA & MERCATI, “Banche, contenziosi per 3 miliardi”, 3.2.2012 : –
[7] Attualmente L’esistenza nell’ordinamento penale tributario di una causa di non punibilità ( art. 16, dlgs. 74/2000) nei confronti dei contribuenti che si uniformano ai pareri resi in sede di interpello antielusivo , comporta che la commissione di condotte elusive di cui all’art. 37bis, dpr. 600/73 assume rilevanza penale. La Cass penale con la sentenza 7739 ha sottolineato che se l’elusione fosse irrilevante dal punto di vista penale n vi sarebbe la necessità di preveder un esimente speciale per la tutela dell’affidamento. Per la Cass. 26723 del 7.7.2011, il risparmio d’imposta ottenuto mediante una condotta elusiva o censurabile sotto il profilo dell’abuso del diritto può comportare la fattispecie delittuosa dell’infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del dlgs. 74/2000
[8] Tale norma, inserita nell’ambito del Titolo IV del dpr. 600/73, che si occupa di accertamento e controlli in materia di imposte sul reddito, ha carattere esclusivamente procedimentale e probatorio: non è chiamata ad individuare nuove forme di reddito da tassare, ma ha la funzione di segnalare, ai fini del controllo fiscale, comportamenti e schemi giuridici caratterizzati da particolare potenziale di elusività e a disciplinarne il procedimento di accertamento, rafforzando il potere dell’amministrazione in campo probatorio, pur nel rispetto dei diritti di difesa del contribuente.
La norma prevede una specifica procedura di accertamento, nella quale acquista particolare rilievo il contraddittorio con il contribuente, pena la nullità dell’atto ( art. 37-bis commi 4 e 5, dpr. 600/73) e rinvia (e subordina) l’iscrizione provvisoria delle imposte o delle maggiori imposte accertate alla sentenza della commissione tributaria provinciale (art. 37bis cit., comma 6). L’emanazione dell’avviso di accertamento deve essere preceduta, a pena di nullità dell’atto, dalla preventiva richiesta di chiarimenti al contribuente, contenente anche i motivi per i quali si ritengono applicabili nel caso concreto le disposizioni antielusive. L’interessato, entro 60 giorni dalla data di ricezione di detta richiesta, può inviare i chiarimenti. Viene, inoltre, previsto, a pena di nullità, che l’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente.
Inoltre, per le operazioni individuate dall’art. 37bis citato è possibile attivare l’interpello antielusivo ex art. 21 della l. 413/91, che vincola l’amministrazione e prevede il silenzio – assenso.
[9] Si rammenta che l’art. 35, comma 24, de dl. 4.7.2006, n. 223, conv. in l. 4.8.2006, n. 248, prevede che ” le attribuzioni ed i poteri di cui agli artt. 31 e seguenti del dpr. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni” possano essere esercitati, anche ai fini dell’imposta di registro e delle imposte ipotecarie e catastali.