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venerdì 24 Ottobre 2025
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Mef: sommerso economico nel 2019 a 183, 9 miliardi, 49, 2% da sotto-dichiarazione e il 41,9% da lavoro irregolare

Sulla base dei Conti nazionali pubblicati a marzo del 2022, il valore aggiunto generato dal sommerso economico si è attestato nel 2019 a 183,9 miliardi di euro con un’incidenza sul Pil del 10,2%. Di questo ammontare il 5,6% deriva dalla sotto-dichiarazione e il 4,8% da lavoro irregolare. Sono questi i principali risultati che emergono dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva prodotta dalla Commissione costituita presso il ministero dell’Economia e delle Finanze.

La relazione è finalizzata a stimare l’ampiezza e la diffusione dell’evasione fiscale e contributiva e produrre una stima ufficiale dell’ammontare delle entrate sottratte al bilancio pubblico; illustrare le strategie e gli interventi di contrasto e prevenzione all’evasione fiscale e contributiva; valutare i risultati dell’attività di contrasto e prevenzione; indicare le linee di intervento e prevenzione dell’evasione fiscale e contributiva, nonché quelle volte a stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali e contributivi.

Le componenti più rilevanti dell’economia sommersa, si legge nel rapporto,  sono quelle legate alla correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto e all’impiego di lavoro irregolare. Nel 2019 hanno generato, rispettivamente, il 49,2% e il 41,9% del valore aggiunto complessivo attribuito al sommerso. Meno rilevante, ancorché significativo (9,0%), è il contributo delle altre componenti (mance, fitti “in nero” e integrazione domanda-offerta).

La sua incidenza sul valore aggiunto complessivo risulta particolarmente elevata nel settore terziario, ed in particolare nelle Altre attività dei servizi, dove nel 2019 si attesta al 35,6%, nel Commercio, trasporti, 49,2% 41,9% 9,0% Sottodichiarazione Lavoro irregolare Altro 12 alloggio e ristorazione (21,9%), nelle Costruzioni (20,8%) e nelle Attività professionali, scientifiche, tecniche (12,3%). Meno rilevante è il peso del sommerso nelle Attività immobiliari (4,6%) e in quelle finanziarie e assicurative (2,8%), in cui il sommerso è generato solo dalle attività ausiliare dell’intermediazione finanziaria. Nel settore Amministrazione pubblica, difesa, istruzione, sanità e assistenza sociale, infine, l’incidenza del sommerso è pari al 4,6% ed è completamente ascrivibile all’attività di produzione per il mercato dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale. Le unità classificate nel settore delle Amministrazioni pubbliche sono, infatti, per definizione, escluse dalla popolazione dei potenziali sotto-dichiaranti, né per esse esiste input di lavoro irregolare.

Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Dopo aver segnato nel 2018 una flessione dell’1,5%, nel 2019 le unità di lavoro a tempo pieno (ULA) in condizione di non regolarità mostrano un ulteriore diminuzione dell’1,6%, attestandosi a 3 milioni e 586 mila unità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 583 mila unità) (Tabella II.2.7). La diminuzione ha interessato, però, esclusivamente le unità dipendenti (-2,4%), mentre quelle indipendenti sono aumentate dello 0,7%. Nel contempo le unità di lavoro regolari hanno segnato una modesta crescita dello 0,3%, pertanto il complesso delle ULA è rimasto sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. Il tasso di irregolarità, utilizzato quale indicatore di diffusione del fenomeno e calcolato come incidenza percentuale delle ULA non regolari sul totale, scende, quindi, nel 2019 a 14,9% dal 15,1% dell’anno precedente. Rispetto al 2016, poi, le unità di lavoro irregolari, nel 2019, sono circa 89 mila in meno, come sintesi di una diminuzione di 33 mila unità dipendenti e 55 mila unità indipendenti. Il tasso di irregolarità scende, nei quattro anni, dal 15,5% del 2016 al 14,9% del 2019.

Il tasso di irregolarità è elevato nell’Agricoltura, silvicoltura e pesca, dove cresce dal 18,3% del 2016 al 18,8% del 2018 e 2019. Nell’industria, il peso della componente irregolare dell’occupazione si attesta stabilmente al 10,2% negli anni 2016-2018 e scende al 9,7% nel 2019.

L’incidenza dell’economia non osservata è molto alta nel Mezzogiorno, dove rappresenta il 18,2% del complesso del valore aggiunto, seguita dal Centro dove il peso si attesta al 13,0%. Sensibilmente più contenute, e inferiori alla media nazionale, sono le quote raggiunte nel Nord-est e nel Nord-ovest, pari rispettivamente al 10,4% e 10,0% (Figura II.2.3). Il peso relativo delle tre diverse componenti dell’economia non osservata si conferma anche a livello ripartizionale; a pesare di più è ovunque la rivalutazione da sottodichiarazione che raggiunge un picco nel Mezzogiorno (pari al 7,6% del valore aggiunto) mentre registra nel Nord-ovest l’incidenza più contenuta (4,5%).

Il peso del sommerso dovuto all’impiego di input di lavoro irregolare è particolarmente elevato in Calabria (9,2% del valore aggiunto) e Campania (8,1%), le quote più contenute sono quelle osservate in Veneto (3,5%), Lombardia, Provincia autonoma di Bolzano-Bozen e Provincia Autonoma di Trento, tutte al 3,6%.

Infine la Relazione stima, in base a queste cifre, un tax gap complessivo nel 2019,

pari a circa 99,2 miliardi, di cui 86,5 miliardi di euro di mancate entrate tributarie e 12,7 miliardi di euro di mancate entrate contributive.

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