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venerdì 24 Ottobre 2025
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Istat; cresce l’economia non osservata (+ 7,5%) la sotto-dichiarazione del valore aggiunto raggiunge 108,2 miliardi (+ 6,6%)

Nel 2023 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a 217,5 miliardi di euro, con una crescita del 7,5% rispetto all’anno precedente (quando era 202,4 miliardi).

Nel 2023 l’economia sommersa (ovvero al netto delle attività illegali) si attesta a poco meno di 198 miliardi di euro, in crescita di 14,9 miliardi rispetto all’anno precedente, mentre le attività illegali sfiorano i 20 miliardi. La sua incidenza sul Pil (9,2% nel 2023) rimane su valori analoghi al biennio precedente, seppure in lieve aumento (era 9,1% nel 2022 e 9,0% nel 2021).

Le unità di lavoro irregolari sono 3 milioni 132mila, in crescita di oltre 145mila unità rispetto al 2022.

L’economia non osservata è costituita dalle attività produttive di mercato che sfuggono all’osservazione diretta e comprende, essenzialmente, l’economia sommersa e quella illegale. Le principali componenti dell’economia sommersa sono costituite dal valore aggiunto occultato tramite comunicazioni intenzionalmente errate del fatturato e/o dei costi (sotto-dichiarazione) o generato attraverso l’impiego di lavoro irregolare. Ad esso si aggiunge il valore dei fitti non dichiarati, delle mance e un’ulteriore integrazione che emerge dalla riconciliazione fra le stime degli aggregati dell’offerta e della domanda.

Quest’ultima contiene, in proporzione non identificabile, effetti collegabili a fenomeni di carattere puramente statistico ed elementi ascrivibili a componenti del sommerso non completamente colte attraverso le consuete procedure di stima.L’economia illegale include sia le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibiti dalla legge, sia quelle che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati.

In accordo con i regolamenti comunitari, le attività illegali incluse nel Pil dei Paesi Ue sono la produzione e il commercio di stupefacenti, i servizi di prostituzione e il contrabbando di tabacco.

Rispetto all’anno precedente, il valore aggiunto dovuto alla sotto-dichiarazione ha registrato un incremento del 6,6% (pari a +6,7 miliardi di euro), mentre quello generato da lavoro irregolare ha segnato una crescita dell’11,3% (corrispondenti a +7,8 miliardi). Contenuto, invece, il contributo delle altre componenti del sommerso: mance e fitti non dichiarati hanno registrato un aumento del 3,8% (pari a +0,5 miliardi) rispetto al 2022, mentre le attività illegali sono aumentate dell’1,0% (circa +0,2 miliardi).

La dinamica più sostenuta del valore aggiunto da lavoro irregolare rispetto alle altre componenti ha determinato una lieve ricomposizione del loro peso relativo all’interno del complesso dell’economia non osservata. In particolare, l’incidenza del valore aggiunto da lavoro irregolare si è portata al 35,5%, raggiungendo quanto osservato nel 2021 (35,6%) e recuperando 1,2 punti percentuali rispetto al 2022 (34,3%). Di converso, il peso del valore aggiunto da sotto-dichiarazione è sceso nel 2023 al 49,7% dal 50,1% del 2022 (era 49,3% nel 2021). Le altre componenti del sommerso hanno contribuito per il 5,6% al complesso dell’economia non osservata (5,8% nel 2022 e 5,2% nel 2021).

Continua, infine, il progressivo ridimensionamento dell’impatto dell’economia illegale. Nel 2023 si è attestata al 9,2%, 1,3 punti percentuali al di sotto del livello del 2020 (quando era al 10,5%), 0,6 punti in meno di quanto registrato nel 2022 (quando era pari al 9,8%).

La componente legata alla sotto-dichiarazione si attesta a 108,2 miliardi di euro mentre quella connessa all’impiego di lavoro irregolare è pari a 77,2 miliardi (erano, rispettivamente, 101,5 e 69,4 miliardi nel 2022). Le componenti residuali valgono 12,2 miliardi di euro (11,8 miliardi nel 2022).

La diffusione del sommerso economico è legata al tipo di mercato di riferimento piuttosto che alla tipologia di bene/servizio prodotto. Per cogliere questa caratteristica, nella descrizione si utilizza una disaggregazione settoriale che considera la specificità funzionale dei prodotti/servizi scambiati piuttosto che le caratteristiche tecnologiche della produzione. Nella classificazione adottata, le attività industriali sono distinte in Produzione di beni alimentari e di consumo, Produzione di beni di investimento e Produzione di beni intermedi (che include il comparto energetico e gestione dei rifiuti).

Nel terziario, le attività dei Servizi professionali sono considerate separatamente dagli Altri servizi alle imprese.

Nel complesso, i settori dove il peso del sommerso economico è maggiore sono gli Altri servizi alle persone, dove esso costituisce il 32,4% del valore aggiunto del comparto, il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (18,8%) e le Costruzioni (16,5%). Si osserva invece un’incidenza minore per gli Altri servizi alle imprese (5,5%), la Produzione di beni d’investimento (4,3%) e la Produzione di beni intermedi (1,6%).

La tendenza a un lieve aumento dell’incidenza del sommerso sul totale del valore aggiunto (al 10,3% nel 2023, dopo il 10,2% del 2022 e il 10,1% del 2021) è il risultato di dinamiche settoriali eterogenee.

Da un lato, è confermata la contrazione del sommerso in alcuni settori chiave, come Costruzioni (dove l’incidenza del sommerso è diminuita di 1,1 punti percentuali nel 2023, dopo essere calata di 0,6 punti nel 2022) e Agricoltura (-0,4 punti percentuali nel 2023 e -1,0 punti nel 2022).

D’altra parte, si è riscontrato un aumento del suo impatto per gli Altri servizi alle persone (+2,3 punti percentuali), gli Altri Servizi alle imprese e Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (+0,2 punti per entrambi).

Il contributo della sotto-dichiarazione all’attività produttiva ha un ruolo significativo per gli Altri servizi alle persone (12,2% del valore aggiunto del settore), il Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (11,1%), le Costruzioni (10,3%) e i Servizi professionali (10,0%). Il fenomeno risulta invece meno rilevante per la Produzione di beni di investimento (3,0%), l’Istruzione, sanità e assistenza sociale (2,9%), gli Altri servizi alle imprese (2,6%) e la Produzione di beni intermedi, energia e rifiuti (0,6%).

Il valore aggiunto generato dall’impiego di lavoro irregolare presenta una maggiore incidenza negli Altri servizi alle persone (19,7% del valore aggiunto del settore), anche per l’inclusione del lavoro domestico.

Al contrario, il fenomeno risulta limitato nei comparti industriali (con un impatto compreso tra lo 0,9% e il 2,8%) e negli Altri servizi alle imprese (1,6%). In Agricoltura, infine, il valore aggiunto sommerso,  connesso esclusivamente alla componente di lavoro irregolare, è pari al 14,9% del totale del comparto.

Cresce il lavoro irregolare

Sono definite irregolari le posizioni lavorative per le quali non viene rispettata la normativa vigente in materia fiscale e contributiva e quelle relative alle attività illegali, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.

Nel 2023 sono 3 milioni e 132mila le unità di lavoro a tempo pieno (Ula) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (circa 2 milioni e 274mila unità). Rispetto al 2022, il lavoro irregolare è aumentato del 4,9% (poco più di 145mila Ula).

Entrambe le componenti dipendenti e indipendenti hanno registrato una dinamica simile con un aumento, rispettivamente, del 4,9% e del 4,8%, pari a +105,8mila Ula dipendenti e +39,5mila Ula indipendenti.

Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale delle Ula non regolari sul totale, è risultato lievemente in aumento nell’ultimo anno, dopo 5 anni di calo consecutivo, attestandosi al 12,7% (era 12,5% nel 2022).

L’aumento del tasso di irregolarità è dovuto alla forte crescita del lavoro non regolare, la cui dinamica (+4,9%) è stata circa il doppio rispetto a quella dell’input di lavoro regolare. Quest’ultimo ha registrato nel 2023 un aumento del 2,4% (circa +503,5mila Ula), determinato prevalentemente dalla componente dei dipendenti (+3,1% Ula regolari pari a +464mila Ula).

Il tasso di irregolarità si è confermato più elevato tra i dipendenti in confronto agli indipendenti (pari, rispettivamente, al 12,9% e al 12,2%); è proseguita, tuttavia, la tendenza all’attenuazione della differente incidenza del lavoro irregolare tra le due componenti, in atto dal 2018.

Nell’ultimo anno si è riscontrato un aumento di 0,2 punti percentuali del tasso di irregolarità per le unità di lavoro dipendenti e di 0,4 punti percentuali per quelle indipendenti.

Differenze settoriali nella dinamica del lavoro irregolare Nel 2023, l’incidenza del lavoro irregolare sul totale dell’occupazione ha registrato un aumento in numerosi settori di attività economica. L’unico settore in controtendenza è stato quello dei Servizi professionali, che ha segnato un calo di 0,1 punti percentuali.

 Il comparto nel quale si è osservato l’incremento più consistente del tasso di irregolarità è stato quello degli Altri servizi alle persone (+1,2 punti percentuali); a seguire, con crescite meno marcate, il settore del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (+0,5 punti) e quelli della Produzione di beni di investimento e delle Costruzioni, che hanno segnato entrambi un aumento di 0,4 punti percentuali.

L’Agricoltura e la Produzione dei beni alimentari e di consumo hanno registrato un aumento di 0,2 punti percentuali. Nei settori della Produzione di beni intermedi, energia e rifiuti, degli Altri servizi alle imprese e in quello dell’Istruzione, sanità e assistenza sociale il tasso è rimasto stabile rispetto all’anno precedente.

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