Lo Stato paga il conto di ogni sanatoria con interessi salatissimi. Spinge i contribuenti a non versare il dovuto e pregiudica il gettito del contrasto all’evasione previsto in circa 26 mld nel periodo 2013-2014.
di Oreste Saccone
Nelle casse dell’erario mancano ancora circa 4 miliardi del maxiconodono del 2002-2003 che lo Stato non è riuscito a incassare ed ecco che nel pieno della campagna elettorale riappare prepotente il mantra dei condoni. Una sorta di totem che Silvio Berlusconi evoca come soluzione salvifica in grado di risolvere in un colpo solo i problemi del fisco e quelli dei contribuenti (disonesti). Ma non è cosi. Non lo è mai stato e questa volta lo è ancora meno. Perchè un’eventuale sanatoria difficilmente porterebbe nelle casse dello Stato una somma pari a quella attesa dal contrasto all’evasione prevista in circa 26 miliardi nel biennio 2013-2014. Anzitutto qualsiasi condono, per quanto tombale possa essere immaginato, dovrà escludere l’Iva, in quanto l’Ue ha bocciata la sanatoria dell’imposta comunitaria del 2002 ed ha ammonito l’Italia a non ripercorrere tale strada. Anche il condono, dunque, è diventata un’arma spuntata se proposto come strumento per far arrivare nelle casse dell’erario somme significative in tempi rapidi. Si tratterebbe perciò solo di un favore a chi ha evaso contribuendo a far si che i cittadini onesti siano gravati da un prelievo sempre più pesante. In sostanza Berlusconi promette un favore a chi ha evaso in cambio del voto. E’ chiaro che ciò significa, in prospettiva, un ulteriore aggravio per chi non può o non vuole evadere. {jcomments on}
La Corte dei Conti ha calcolato che dal 1900 ad oggi sono stati messi in campo sotto diverse vesti 58 condoni fiscali, poco meno di uno ogni due anni, a cui va aggiunto l’ultimo voluto dal governo Berlusconi nel 2011 sulle liti fiscali pendenti inferiori a 20.000 euro, che ha vanificato del tutto l’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria del 2011[1]. Si tratta di sanatorie di ogni tipo, dal condono tombale allo scudo fiscale, dal concordato preventivo alla definizione agevolata delle liti passando per la rottamazione dei ruoli. Che hanno un comune denominatore: lo Stato rinunzia ad esercitare il suo ruolo e per motivi di cassa si accorda con gli evasori, assicurando loro l’impunità. E tanti saluti alla lotta all’evasione fiscale, alla ricerca della “tax compliance” e ai contribuenti onesti.
Proviamo a valutare, in termini di costi/benefici, quale effetto produrrebbe per le casse dello Stato un eventuale condono tombale. Ci aiuta l’esperienza maturata in occasione dall’ultimo maxicondono 2002- 2003. Il lasso di tempo previsto per la presentazione delle domande di condono ha costituito un periodo di lunga tregua fiscale tra fisco ed evasori. L’azione di accertamento è stata – di fatto – completamente sospesa e l’intera macchina fiscale (almeno 30.000 funzionari dell’Agenzia delle Entrate, 15.000 militari della guardia di finanza) è stata impiegata per fare “moral suasion“ verso i potenziali contribuenti-evasori (informazioni, consulenze, invio di comunicazioni, questionari, accessi e verifiche avviati e subito sospesi, etc.). Lo stesso è accaduto per i consulenti (commercialisti ed esperti fiscali), impegnati in questa fase a fare calcoli e prospettare soluzioni sulla convenienza della sanatoria ai propri clienti.
E’inevitabile che chi aveva consigliato prudenza e serietà nei rapporti con il fisco è stato considerato dall’assistito poco esperto o quanto meno improvvido, per non aver tenuto in debito conto la variabile “condono fiscale”. Anche le Commissioni tributarie hanno sospeso gran parte della loro attività, legata per lo più a controversie interessate dal condono. Si è bloccata la riscossione coattiva dei tributi (oggi gestita da Equitalia) e la notifica dei ruoli erariali interessati dalla sanatoria e , di conseguenza, è venuto meno il relativo gettito. Poi, passato il tempo del condono, l’intera macchina operativa del Fisco si è vista gravata da una duplice missione, che ha impegnato quasi tutte le sue risorse per diversi mesi. La prima è consistita nel controllo della regolarità delle domande di condono presentate, operazione che è prodromica a qualsiasi attività di accertamento. La verifica delle diverse forme di sanatoria ha riguardato milioni di atti che, mediante apposite procedure (elaborate per l’occasione), sono stati tutti controllati e liquidati. Non di rado la sanatoria ha interessato fattispecie piuttosto complesse e economicamente molto rilevanti, che hanno avuto bisogno di particolare approfondimento e competenza. Spesso tali atti e procedure hanno coinvolto necessariamente più istituzioni. Ad esempio, nel caso di chiusura agevolata di una lite pendente sono stati coinvolti l’Ufficio finanziario, che ricalcola il dovuto e conferma la regolarità della sanatoria, la Commissione tributaria, che provvede ad estinguere il giudizio, il Concessionario della riscossione, che deve effettuare lo sgravio delle somme iscritte a ruolo.
La seconda missione, non meno gravosa della prima, ha riguardato la necessità di aggiornare gli archivi informatici e fisici per ripulirli di tutti gli atti ed elementi d’indagine ( centinaia di migliaia di fascicoli, segnalazioni, atti di accessi, ispezioni, atti di accertamento, etc.), superati e resi inutili dal condono, e consentire una accettabile programmazione dell’attività di controllo futura. In concreto è trascorso un altro anno o più dalla chiusura del condono prima che sia stato possibile per l’amministrazione finanziaria riprendere a pieno regime l’attività di controllo e assicurare alle casse dell’erario i primi proventi (derivanti dalla lotta all’evasione) post-condono. Oggi, dopo 11 anni, restano ancora molti strascichi velenosi dal maxicondono del 2002, che pure fu enfatizzato alle epoca come un grande successo politico, visto che il gettito calcolato sulla base delle domande di sanatoria presentate è stato di circa 26 miliardi. Ancora oggi però dei 26 miliardi ne mancano all’appello circa 4 miliardi, non versati da coloro che hanno beneficiato del condono pagando solo la prima rata[2].
Dopo circa 10 anni il legislatore è corso ai ripari e ha previsto una specifica azione ricognitiva da parte dell’Agenzia delle entrate e di Equitalia per recuperare in via coattiva le somme non ancora versate e, in caso di omesso versamento entro il 31 dicembre 2011, ha introdotto una sanzione pari al 50 delle somme dovute, oltre all’assoggettamento a controllo della posizione relativamente ai periodi d’imposta per i quali è ancora in corso il termine di accertamento. Ciò nonostante il recupero delle imposte da condono non riscosse è stato irrisorio. Lo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate nel 2011 ha affermato[3] che su 4 miliardi, almeno 2,5 miliardi possono ritenersi persi, a causa del fallimento o della irreperibilità dei contribuenti interessati. In realtà tale previsione è stata fin troppo ottimistica visto che nella relazione concernente i risultati derivanti dalla lotta all’evasione fiscale al 31 dicembre 2011 presentata al Parlamento dal premierMonti, per il triennio 2012/2014 non sono stati preventivati incassi dal recupero di somme da condono[4].
Nel mentre la Corte di Giustizia nel 2008 ha dichiarato incompatibili con il diritto comunitario le disposizioni del maxicondono 2002 relative all’integrativa semplice e al condono tombale in materia di Iva, essendo quest’ultima imposta di competenza comunitaria. Si aggiunga infine – come ha rilevato la Corte dei Conti – la tendenza assunta dal Governo Berlusconi ad un crescente impiego della lotta all’evasione fiscale come strumento di politica di bilancio. In concreto, negli ultimi anni la lotta all’evasione non ha avuto una funzione dissuasiva, cioè non ha avuto lo scopo di ridurre l’enorme tax gap italiano, valutabile in circa 120-150 miliardi di euro, ma essenzialmente è servita a fare cassa, assicurando agli evasori colti in flagrante, in caso di adesione o acquiescenza agli accertamenti fiscali, sanzioni del tutto risibili e senza avere, nella stragrande maggioranza dei casi, conseguenze penali.
Con tali premesse l’ipotesi di un condono fiscale generalizzato sarebbe certamente un’operazione disastrosaper almeno tre motivi, del tutto nuovi rispetto al maxi condono 2002 – 2003, e che minerebbero alla radice l’eventuale sanatoria.
- L’eventuale condono non potrebbe interessare l’Iva, che è poi l’imposta più evasa dagli italiani e quindi la più gettonata per i potenziali interessati alla sanatoria, perché è incompatibile con la sesta direttiva comunitaria.
- L’eventuale condono in caso di pagamento rateale (cioè per gli importi di maggior valore) dovrebbe essere garantito da fideiussione o da altra forma di garanzia, altrimenti si ripeterebbe lo stresso sconcio del maxicondono 2002 con contribuenti che hanno goduto dei benefici della sanatoria versando solo la prima rata. Ne consegue il minore appeal che il provvedimento potrebbe avere.
- L’eventuale condono brucerebbe del tutto le maggiori entrate dalla lotta all’evasione attese e messe a bilancio per gli anni 2013 e 2014. In base al trend degli ultimi anni la stima 2013 -2014 degli introiti derivanti dalla lotta all’evasione fiscale può essere valutata in non meno di 26 miliardi di euro complessivi.
In conclusione, è impensabile che da un eventuale sanatoria generalizzata si possa ottenere un gettito superiore a quello realizzato con il condono 2002 – 2003 (circa 22 miliardi di euro)[5] e tale da produrre incassi almeno pari a quelli previsti dalla lotta all’evasione fiscale e messi a bilancio per il biennio 2013-2014. Probabilmente la proposta di un condono tombale non solo risponde ad una evidente finalità populistico-elettorale, ma è rivelatrice della concezione berlusconiana del rapporto tra i cittadini e lo Statoi.
Note:
[1] l’articolo riprende aggiornandole le considerazioni contenute in un precedente articolo del 2011.
[2] Il maxicondono 2002-2003, ha consentito di sanare tutto il sanabile a prezzi scontatissimi. Il legislatore dell’epoca (stesso governo e stessa maggioranza parlamentare di oggi) offriva agli evasori una ampia gamma di soluzioni, prevedendo diversi tipi di sanatoria (integrazione degli imponibili, definizioni automatiche, definizione degli avvisi di accertamento, processi verbali di constatazione, atti di irrogazione di sanzione, etc.). Per rendere più appetibile l’adesione alla sanatoria fiscale e fare cassa, non ha vincolato l’efficacia del condono al versamento dell’intera somma dovuta. Nel caso di importi superiori a 3.000 euro per le persone fisiche e a 6.000 euro per gli altri soggetti passivi (società, enti, etc.) i benefici del condono scattavano, anche in sede penale, già con la presentazione della relativa dichiarazione, se prevista, ed il versamento della sola prima rata. senza imporre alcuna forma di garanzia fidejussoria a tutela del residuo credito erariale.
[3] Marco Bellizzaro e Antonio Criscione“ Parte la caccia ai furbi del condono” Il Sole24 ore del 14 ottobre 2011, pag. 35.
[4] Dato rilevato dalla Tabella 3 della Relazione
[5] visto che consentiva anche la sanatoria ai fini IVA e il pagamento rateale senza garanzie, oggi non più proponibili,