I maggiori valori economici delle partecipazioni di controllo da essa detenute concorrono alla formazione del reddito, ma la quota imponibile è limitata al 5 per cento dell’ammontare di questi valori. Anche l’onere delle imposte dovute per la exit tax potrebbe essere molto modesto.
di Yoda
Non è solo una questione di tasse. Il trasferimento all’estero di Fiat, uno dei brand italiani più noti, indebolisce l’immagine dell’Italia nel mondo e il suo intero sistema industriale. La notizia: la nuova Fiat Chrysler N.V (Fca) ha spostato la sua sede legale nei Paesi Bassi, la sua residenza fiscale nel Regno Unito e la quotazione principale a Wall Street. Lo ha deciso il consiglio di amministrazione di Fiat il 29 gennaio. A stupire è il fatto che, di fronte a problematiche di tale complessità, le autorità competenti non abbiano nemmeno cercato di capire, per tempo, le ragioni dell’abbandono né abbiano cercato di valutare le possibili alternative di un’operazione ‘annunciata’ da almeno tre anni. La vicenda esprime in modo efficace quel rovesciamento dei rapporti di forza tra imprese multinazionali e Stati nazionali che molti interpreti hanno di recente raccontato come il frutto maturo della globalizzazione; con i grandi gruppi collocati a cavallo dei continenti in posizione dominante rispetto agli Stati la cui sovranità non può superare i confini nazionali.
Lo sdoppiamento tra sede legale e residenza fiscale è reso possibile dalle particolari regole previste in Olanda e Regno Unito, che consentono ad una società costituita secondo il diritto societario di uno dei due Stati di trasferire nell’altro Stato la sede di direzione effettiva (e quindi la residenza ai fini fiscali), pur continuando ad essere soggetta al diritto nazionale del Paese di costituzione. Questa configurazione, che in Italia non sarebbe stata possibile, consentirà a Fca di prendere il meglio degli ordinamenti, societario e fiscale, dei due Stati. In Olanda, la newco potrà emettere azioni ordinarie e speciali che garantiscono il voto plurimo in assemblea ordinaria ai soci ‘stabili’, in tal modo consolidando il controllo dell’azionista di riferimento, Exor, sul gruppo. Nel Regno Unito, la società beneficerà di un’aliquota della corporate tax al 21 per cento, ridotta al 10 per cento sulla quota di reddito societario attribuibile ai grandi marchi del gruppo, ai brevetti ed agli altri assets immateriali, così come prevede il nuovo regime agevolato c.d. patent box, in vigore da aprile 2013. In tal modo, il Regno Unito si candida a diventare un Paese altamente attrattivo per le società di gestione di tecnologia e beni immateriali e, nel contesto di una profonda riforma della tassazione delle imprese multinazionali, ha introdotto anche regimi di favore per il rimpatrio dei dividendi e per le controlled foreign companies (Cfc): discipline che, nella versione italiana, limitano non poco l’operatività estera delle nostre grandi imprese , soprattutto dopo le modifiche apportate nel 2009. Infine, la quotazione ad Wall Street per collocarsi in una piazza finanziaria particolarmente appetibile per la raccolta di capitali.
Un vero e proprio cherry picking che, fior da fiore, coglie il meglio da ogni ordinamento nazionale. L’Italia, evidentemente, non aveva niente da offrire. In ogni caso, l’annunciata integrazione giuridica di Fiat SpA – che detiene, tra le altre, le partecipazioni di controllo di Maserati, Ferrari, Fiat Group Automobiles, Magneli Marelli etc. – nella società olandese Fca è solo l’ultimo dei tre differenti livelli in cui si è articolato negli anni il lungo e complesso processo di riorganizzazione del gruppo che ha portato alla costituzione di un unico soggetto globale sovranazionale. Il primo livello ha investito direttamente gli stabilimenti industriali delle quattro macro-aree (Usa, Europa, America Latina, Oriente) in cui si articola la produzione del gruppo nel mondo e ha portato alla integrazione e al reciproco ‘travaso’ delle ‘conoscenze’ proprie del sistema industriale. Ad un secondo livello, è stata promossa l’integrazione delle conoscenze manageriali e del potere di indirizzo strategico, il quale è stato attribuito al GEC (Group Executive Council) che raccoglie, sotto la presidenza di Marchionne, i principali top managers di differenti nazionalità. E’ il Gec che assume le decisioni più importanti per le strategie e gli investimenti del gruppo; e sarà probabilmente il Gec – “una banda di nomadi in viaggio tra tutte le regioni”, secondo la definizione di Marchionne – che, ancor più del CdA di Fiat S.p.A, dovrà stabilire il proprio quartier generale nel Regno Unito, a conferma che lì è effettivamente situata la sede di direzione effettiva. E con essa la residenza fiscale.
Fisco Equo ha già diffusamente parlato, in un articolo del 9 ottobre 2011, di questo processo che coinvolge molteplici e differenti piani di policy. Volendo inoltre trascurare le questioni di prospettiva (ad esempio, i migliori o peggiori utili futuri), le implicazioni fiscali del trasferimento di sede appaiono relativamente semplici solo se ci limitiamo a prendere in considerazione l’ultimo livello di integrazione, quella giuridica della holding Fiat S.p.A in Fca nell’ambito di una probabile operazione di fusione intracomunitaria. In conseguenza del trasferimento all’estero della holding italiana, in effetti, i maggiori valori economici delle partecipazioni di controllo da essa detenute (e non attribuite ad una stabile organizzazione nel territorio nazionale) concorrono alla formazione del reddito; la quota imponibile, tuttavia, è limitata al 5 per cento dell’ammontare dei suddetti maggiori valori (rispetto al costo), tenuto conto che essi sono riferibili a partecipazioni che, come è probabile, godono del regime di participation exemption. Non solo. Tale quota potrebbe risultare compensata (in tutto o in parte) con le perdite conseguite in passato da Fiat S.p.A. e non ancora utilizzate.
In definitiva, l’onere delle imposte dovute per la c.d. exit tax potrebbe essere anche molto modesto. Altre e ben più complesse sono le problematiche fiscali connesse ai due precedenti livelli di integrazione e interscambio di processi industriali, tecnologia, competenze e leadership, perché richiedono di valutare, alla luce dei principi Ocse, ciò che il gruppo ha dato alla Casa madre italiana e ciò che da essa ha ricevuto: le opportunità che ha acquisito o perduto.