Il trasferimento della testa del gruppo Fiat fuori dai confini nazionali, determinerà per il sistema industriale italiano e per l’erario una perdita superiore ai 20 miliardi di investimenti che il gruppo si era impegnato a realizzare in Italia. Ministero Economia illustri a Marchionne costi fiscali abbandono Paese.
di Icaro
Le recenti vicende di cronaca ci dicono che siamo giunti ad una fase cruciale di un percorso – iniziato con l’acquisto del controllo su Crysler – che avrebbe richiesto di essere monitorato e seguito passo dopo passo dai competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate in stretta collaborazione con i vertici dell’impresa. La variabile fiscale di una operazione di exit strategy che investe un grande gruppo italiano – che per oltre un secolo ha intrecciato le sue sorti con quelle del Paese, si è alimentato della ‘intelligenza’dei suoi uomini, delle sue ‘competenze’ territoriali e ordinamentali, oltre che, in varie forme e tempi, di capitali e risorse pubbliche – è troppo complessa per poter essere determinata nel chiuso degli uffici fiscali dei consulenti o dall’Agenzia con un accertamento ex post, anche perché occorrerà guardare al contenuto reale del processo, al di là della forma giuridica di cui sarà vestita l’operazione e delle eventuali triangolazioni di comodo con strutture collocate in un Paese dell’Unione. {jcomments on}Il problema non è l’internazionalizzazione dei campioni nazionali, che è condizione di crescita competitiva e che deve, semmai, essere promossa con maggiore determinazione anche attraverso la leva fiscale. Altra cosa è la perdita della ‘nazionalità’ di una grande impresa italiana che travolge valori ben superiori a quelli relativi agli stabilimenti eventualmente dismessi o, comunque, impoveriti dalla sottrazione delle principali funzioni strategiche e innovative. Resta fermo, infatti, che se il centro volitivo di un gruppo italiano si prepara a lasciare l’Italia, qualunque siano le modalità attraverso cui perverrà alla integrazione delle holding o subholding, la pretesa tributaria non potrà che avere ad oggetto il valore del complesso dei beni immateriali (marchi prestigiosi, brevetti, tecnologia…), delle competenze ed eccellenze trasferite con i ‘cervelli’ degli uomini chiave (dai tecnici ai dirigenti), delle funzioni industriali e commerciali perdute, nonché delle opportunità future di crescita e innovazione che, insieme ai connessi rischi, verranno sottratti al sistema Paese. In conformità con i criteri adottati in sede OCSE e in particolare nel nuovo Cap. IX del Guidelines sui prezzi di trasferimento, dedicato alle Business Restructuring, la stima dell’obbligazione tributaria è, in tali ipotesi, talmente complessa che richiede di essere operata in via preventiva, nel confronto tra le parti interessate. Che ancora non se ne parli non può che essere fonte di grande preoccupazione.
Sia chiaro che non si tratta di negare il diritto della FIAT a trasferire la propria sede di direzione effettiva ovunque ritenga di poter meglio crescere e competere, ma il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Entrate non farebbero un gran servizio né alla Fiat né al Paese evitando di confrontarsi tempestivamente con i vertici del gruppo per valutare ex ante, in modo approfondito, i costi fiscali dell’operazione, sia perché l’impresa ha il diritto di conoscerne preventivamente l’impatto e di considerarli nei propri calcoli di convenienza; sia perché l’Erario, qualora il gruppo non intenda desistere dal progetto, deve potersi assicurare, quantomeno, il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria.