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venerdì 12 Dicembre 2025
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Capirossi più veloce del Fisco: ricorso in ritardo, i giudici gli danno ragione

La Cassazione condanna il Fisco a pagare le spese di giudizio. Al pilota era contestato il reato di evasione di Irpef, Irap e Iva relative all’anno 2012.

Capirossi batte il Fisco al fotofinish. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è arrivato fuori tempo massimo ed è quindi inammissibile: con questa motivazione la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente la controversia dando ragione al campione di motociclismo, accusato di non essere realmente residente a Montecarlo e aver quindi evaso Irpef, Irap e Iva per l’anno d’imposta 2012. Accusa contro cui Capirossi aveva fatto ricorso dapprima in commissione tributaria- senza successo- poi in appello presso la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che aveva invece accolto la richiesta di annullamento. Grazie a una casa di proprietà destinata a residenza familiare e ai riscontri dei pagamenti delle relative utenze, il tre volte campione del mondo – peraltro sposato con Ingrid Tence, cittadina monegasca- era riuscito a dimostrare come il Principato fosse “la sede principale dei propri affari e interessi”. A irrobustire la tesi difensiva anche una serie di documenti e spese effettuate all’estero, che certificavano come il pilota passasse la maggior parte del tempo fuori dall’Italia per preparare le gare del motomondiale.

Fuori tempo. Perso l’appello, i funzionari del Fisco ci riprovano in Cassazione. Ma il ricorso, sostengono i difensori di Capirossi, è in ritardo e non è quindi ammissibile. Risultato: i magistrati danno ragione al motociclista perché l’istanza, che doveva essere presentata entro il 2 luglio 2012, è stata inviata il 30 luglio 2012, quindi oltre i termini stabiliti. Non solo: oltre all’inammissibilità, la Corte ha poi condannato l’Agenzia delle entrate a pagare le spese di giudizio, pari a 16.400 euro per i compensi professionale più 200 euro anticipati dal legale di Capirossi.

Il precedente. Quello tra Capirossi e il Fisco è solo l’ultimo capitolo di una vicenda nata esattamente venti anni fa. Dopo una serie di accertamenti tra il 1995 e il 2000, le entrate arrivarono a ipotizzare un’evasione milionaria di Irpef e Iva per il periodo 1995-1998, sostenendo che il campione, benché residente all’estero, fosse ancora domiciliato in Italia e quindi soggetto alla tassazione italiana. Dalle indagini della Guardia di Finanza emerse infatti che il pilota aveva falsamente trasferito la sua residenza a Montecarlo per sfruttare la fiscalità privilegiata, ma in realtà continuava a vivere nella sua villa di Riolo Terme. Al centro della controversia anche una società olandese a lui riconducibile, alla quale aveva ceduto i diritti d’immagine per erodere la base imponibile. Contro questa tesi il campione si difese sostenendo di essere nullatenente e, dopo aver perso sia di fronte alla commissione provinciale di Ravenna che a quella regionale di Bologna, fece quindi ricorso in Cassazione, dove arrivò la bastonata finale. La sezione tributaria della suprema Corte confermò infatti il reato di evasione, condannandolo ad una maxi multa da due milioni di euro e al pagamento delle spese processuali di 25mila euro.

In fuga dal Fisco. I guai col fisco accomunano tanti campioni delle due ruote. A cominciare da Valentino Rossi, cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato la residenza fittizia in Inghilterra e un imponibile non dichiarato di 60 milioni. Il contenzioso si risolse con un accertamento con adesione: il pesarese versò nelle casse dell’erario la somma record di 35 milioni riportando la residenza in Italia. Diversa negli esiti, ma non nella sostanza, la vicenda di Max Biaggi: l’ex campione del mondo di Superbike, finito sotto processo per aver falsamente spostato la residenza nel Principato di Monaco e aver evaso le tasse, se la cavò con la prescrizione. Ancora da definire la controversia di Marco Melandri, condannato in primo grado a un anno e sette mesi per aver portato la residenza a Derby- in Inghilterra- al solo scopo di pagare meno tasse. 

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